Canonico P. Johnny Judeh SANSOUR
del clero patriarcale latino di Gerusalemme
Beit Jala 1946 - Gerusalemme 2021
“Io sono il buon pastore. Il buon pastore offe la sua vita per le pecore “ (Gv 10,11)
Il 14 febbraio 2021, è ritornato alla casa del Padre, il nostro confratello, il canonico Don Johnny Sansour, ricoverato all’ospedale San Giuseppe di Gerusalemme. Già da più di dieci anni soffriva di una semiparalisi che gli aveva ridotto la deambulazione e la parola. Da circa cinque anni viveva ritirato nella “Casa Afram” per anziani a Taybeh (Ramallah). Molti anziani della comunità della Casa furono colpiti dal coronavirus Covid-19, che portò sette di loro alla morte, tra questi anche il nostro Abuna Johnny.
Le restrizioni del coronavirus non permettono a molte persone di partecipare alle esequie. Ma, almeno noi, sacerdoti, suore e fedeli di Gerusalemme, in occasione del quarantesimo della morte, dobbiamo rendere un conveniente ultimo saluto a questo sacerdote della Chiesa Madre di Gerusalemme e compiere una commovente riflessione sulla figura di questo pastore che ha tanto lavorato per la Comunità cristiana di Terra Santa[1].
1- Beit Jala biblica, e sede del seminario patriarcale latino
Johnny Sansur era nato a Beit Jala (sulla collina ovest adiacente a Betlemme) il 12 novembre 1946, da una famiglia di rito latino, di dieci figli (cinque fratelli e quattro sorelle), in una cittadina radicata nella storia biblica: Gilo (oggi Beit Jala), patria di Achitofel, consigliere di Davide (2 Samuel, 15,12; 15,20-23; 16, 15; 16,23; 17,23), di cui è stato scritto: “Un consiglio dato da Achitofel era come se si fosse consultata la parola di Dio” (2 Sam. 16,23). Nei tempi moderni (1848), Beit Jala si rese famosa per le vicende del patriarca latino della restaurazione, Giuseppe Valerga; e per l’installazione, nel versante est della collina, del Seminario patriarcale latino, tutt’ora attivo e fiorente.
Il piccolo Johnny venne battezzato il 19 gennaio 1947 da Don Yacoub Beltritti, viceparroco, futuro patriarca nel 1970 al 1987, che nominò Don Johnny suo segretario personale e dopo vicario e parroco in diverse parrocchie. Frequentò la scuola parrocchiale per le elementari, e all’età di undici anni sentì il desiderio di entrare in seminario latino di cui vedeva spesso i seminaristi andare e venire davanti a casa sua per le valli e le alture della pittoresca Beit Jala (altitudine 750-923 m)[2].
Nel 1963 Johnny entrò nel seminario maggiore (filosofia e teologia), e si distinse subito per una viva intelligenza, per certe preferenze di studio e per il dono straordinario delle lingue. Oltre alle lingue insegnate correntemente in seminario (arabo, francese, inglese, italiano e latino) imparò da solo anche l’ebraico, il greco, il tedesco, lo spagnolo e anche una base di armeno e aramaico. Era soprattutto un raffinato cultore della lingua araba e della sua poesia. Ebbi la gioia di averlo come insegnante di lingua araba e, personalmente, ricordo che aveva a cuore di far amare la lingua, metteva in evidenza quegli aspetti che potessero rendere la lingua attraente, e ripeteva regolarmente: “La lingua araba si impara più con il cuore che con la mente”!
Per le materie tipicamente teologiche e filosofiche preferiva i temi che avevano attinenza con la tradizione, la storia, l’archeologia, la natura e la cultura popolare (conoscenze, usi e costumi di area biblica). Anche se sembra in contrasto con la sua facilità per le lingue, favoriva i metodi di approfondimento, pensiero e riflessione libera. Per gli esami, per esempio, sviluppava a preferenza i cosiddetti ‘temi a dissertazione’, piuttosto che una lista di questioni e risposte secche. Ricordo che a un esame di esegesi biblica, per esempio, suscitò l’ammirazione del professore facendo un’analisi critica, storica, biblica, psicologica e popolare del personaggio Giuda Iscariota![3]
Inutile dire che nelle occasioni accademiche in seminario era il punto di riferimento per i discorsi ufficiali, le poesie e persino per le traduzioni. Abuna Johnny conservò sempre, comunque, un ottimo ricordo del seminario, dei Padri Betharramiti, incaricati della direzione e dell’insegnamento di questo Studium theologicum. Riconosceva di esser stato fortunatissimo per aver avuto, in quegli anni ’60, ottimi docenti di scienze filosofiche e teologiche. Altrettanta riconoscenza serbava per le suore Dorotee di Vicenza che avevano la gestione pratica del seminario. Nel suo ritiro di Taybeh, sempre ci chiedeva notizie di questo padre betharramita o di quella religiosa dorotea, e ricordava sempre, con gratitudine e piacere, qualche episodio o aneddoto della vita del seminario in quegli anni.
2- Ordinazione sacerdotale sotto il segno del Buon pastore
Fu ordinato sacerdote il 26 giugno 1970 nella Basilica della Dormizione sul Monte Sion a Gerusalemme, con Don Elias Odeh e Don Pietro Felet, con l’imposizione delle mani del Patriarca Alberto Gori, per il quale sarebbe stata l’ultima ordinazione. Per quell’occasione scelse come motto: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offe la sua vita per le pecore “(Gv 10,11), motto che realizzò veramente durante tutta il suo ministero pastorale.
Come novello sacerdote fu segretario personale, per un anno, dei due patriarchi A. Gori e poi G.G. Beltritti, che si susseguirono proprio in quel 1970, e aiutante del cancelliere patriarcale, Don Kamal Bathish. Nel 1971 fu mandato vicario parrocchiale a Misdar (Amman) con Don Michel Sabbah; nel 1972 a Madaba con Don George Saba, e Amministratore della succursale di Maîn; e nel 1973 a Taybeh con Don Silvio Bresolin. Ebbe dunque la fortuna di fare il suo apprendistato sacerdotale con tre ottimi parroci e in tre parrocchie considerate tra le migliori del Patriarcato in quegli anni.
In questi anni di vicario parrocchiale e parroco di Taybeh, chiese di poter seguire anche dei corsi di storia, geografia e archeologia biblica nei celebre “Istituti biblici e archeologici” a Gerusalemme. Materie che mise opportunamente a profitto nei luoghi dove prestò il suo ministero in seguito. Tra i suoi confratelli sacerdoti girava questo detto amichevole: “Nella canonica o nella scuola dove c’è una colonna archeologica (come sostegno per un altare, agli ingressi…), là è passato Abuna Johnny”!
Nel 1975, alla partenza di Don Silvio Bresolin per la missione di Malakal (Sud-Sudan), lasciando ricordi di un eccellente pastore, Don Johnny fu nominato parroco di Taybeh. L’incarico non è stato facile, perché D. Johnny stesso ricorda, con una buona dose di humor, che Don Silvio, prima di partire per il Sudan gli fece questa raccomandazione: “Ricordati, Abuna Johnny, che per essere parroco di Taybeh, bisogna essere o santo o pazzo”! Quella raccomandazione di Don Silvio entrò nella memoria collettiva proverbiale del clero patriarcale, come lo fu anche la pronta risposta di Don Johnny: “Forse, Abuna Silvio, c’è una terza alternativa: essere un pazzo santo o un santo pazzo”!
Servì, in realtà, questa parrocchia, sempre aiutato dalle Suore del Rosario, per ben 14 anni, durante i quali diede il meglio di sé stesso in diversi campi, facendo tesoro delle sue preferenze quasi naturali in storia biblica ed ecclesiale, archeologia e folklore orientale, incoraggiato dalle attrattive favorevoli di Efraim–Taybeh.
3- Intraprendente e ingegnoso parroco di Taybeh
A Taybeh, Abuna Johnny poté compiere molte iniziative, tra le quali, oltre naturalmente alla cura regolare, ordinaria, pastorale della comunità, ricordiamo:
- completò la scuola parrocchiale aggiungendo le classi secondarie (1976);
- terminò la decorazione della nuova Chiesa (con i pittori Gaetano Fabbris1979, e Ferdinando Michelini 1982);
- rinnovò la cripta “San Charles de Foucauld” sotto la canonica (1982);
- edificò accanto alla chiesa, una “Charles de Foucauld guest house” (17.4.1986) per l’accoglienza dei pellegrini e altri ospiti;
- sempre nello stesso anno e nello stesso complesso, acquistò un’antica casa, dalla famiglia Elias Thalgi, chiamata poi “Casa delle parabole evangeliche”;
- fondò un piccolo museo, la casa d’Efraïm, di antichissimi oggetti soprattutto agricoli;
- sistemò un dispensario medico accanto alla canonica, che più tardi passò alla Caritas Jerusalem;
- istituì una cooperativa agricola e operaia (1982);
- creò una associazione di solidarietà, “Figli della Terra Santa”, con le famiglie di Taybeh emigrate nelle Americhe o altrove;
- organizzò una campagna di ricerche per il museo di tutto quello che si trova di antico, scoperta di strumenti cananei;
- aprì un ouvroir (laboratorio) per taglio e cucito per le donne;
- diede avvio a una piccola pubblicazione periodica in francese:” L’écho de Taybeh-Ephrem” (1987)
- e promosse un'altra rivista in arabo,” Sawut al-Taybeh” per la gente di Taybeh nella diaspora (erede di una pubblicazione più vecchia);
- acquistò un nuovo organo elettronico Domus 8 per la chiesa parrocchiale (19.7.83).
Tutte queste opere furono possibili grazie alla cooperazione generosa di alcuni benefattori locali o stranieri di cui seppe suscitare il loro interessamento. Soprattutto dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme (OESSJ) in generale, la luogotenenza della Francia in particolare, e specificatamente i luogotenenti, i generali Henry de Chizelle e Louis D’Harcourt; la “Pontifical Mission of Jerusalem”; e l’associazione “Figli della Terra Santa”.
“Il miglior avvocato della Terra Santa è la Chiesa Madre di Gerusalemme e i Luoghi Santi stessi”
I luoghi sono importanti, ma è l’aspetto personale che Abuna Johnny seppe promuovere. Incoraggiò i pellegrini a visitare la zona di Taybeh o a farvi dei ritiri spirituali e giornate di studio. Sfruttò al massimo alcune attrazioni storiche e religiose del villaggio e dei dintorni che, essendo interessanti, meritano di essere menzionate:
- la posizione geografica di Taybeh (vicino al deserto e sulla strada di Gerico);
- il fatto che Taybeh è l’unico villaggio interamente cristiano in Terra Santa;
- il biblico Tell Asour (1016 m.), la montagna più alta della Palestina centrale, sulla strada di Ramallah;
- il ritiro a Efraim evangelica (Taybeh) e l’ospitalità data a Gesù prima della passione (Gv 11, 54);
- l’antica chiesa bizantina d’El-Khader (St George) del 5°secolo dove si fanno ancora immolazioni di animali (capre, pecore, galline…) come voto;
- l’antico castello crociato Sant-Elia di Monferrat (12 s.);
- il ritiro spirituale di San Carlo de Foucauld negli anni 1898-1900;
- l’antica “Casa delle parabole evangeliche” acquistata da Don Johnny stesso;
- Taybeh, come villaggio di autentica oasi di pace e di romitaggio, naturale e sociale;
- “Il Mansaf d’Abramo”, piatto unico per un pasto, molto tradizionale e popolare, riproposto da Don Johnny, con cui intratteneva i pellegrini.
Si creò così un grande movimento di attività e di iniziative, locali e internazionali, che coinvolse tutti i parroci successivi (6 in questi trent’anni), religiosi e religiose, volontari, fedeli locali e pellegrini; un movimento dinamico che continua ancora adesso. Don Johnny incoraggiò anche diversi volontari stranieri, soprattutto francesi: cooperanti della DCC francese, giovani studenti seminaristi, di cui alcuni diventarono sacerdoti, come il gesuita P. Nicolas Rousselot, e Don Pierre Rendler (di Strasbourg, ma ordinato per il patriarcato di Gerusalemme) a venire a Taybeh, per l’insegnamento del francese nella scuola, per l’accoglienza dei pellegrini, per l’animazione di “Campi estivi” in una cooperazione vicendevole e preziosa con l’Oeuvre d’Orient, il Réseau Barnabé di Francia, il Consolato generale francese di Gerusalemme e altre istituzioni.
Accolse a Taybeh nel 1988, tra l’altro, la “Famiglia monastica di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine e di S. Bruno”, all’inizio della loro presenza in Terra Santa, nell’attesa della costruzione del loro monastero a Beit Jemal; nel dicembre del 2004 una piccola comunità di questa Famiglia monastica cercò di fondare un monastero a Mesa Khorio (Cipro); verso il 2018, un altro piccolo gruppo riornò a Taybeh.
Da questo rapido esposto, possiamo intravvedere le posizioni alle quali Abuna Johnny credeva fermamente e he ripeteva continuamente a tutti, soprattutto ai pellegrini: “Il nostro sacrosanto dovere davanti a Dio e alla storia, è di sfruttare nel miglior modo possibile i preziosi tesori che la Sacra Bibbia, la storia e la geografia ci hanno affidato. Il migliore avvocato della Terra Santa è la Chiesa Madre di Gerusalemme e i Luoghi Santi”.
La delicata questione delle “terre degli assenti”: “Uno spazio di geografia è uno spazio (un tempo) di storia”
L’opera del parroco di Taybeh si svolge, come tutte le parrocchie della zona, in un quadro di situazione sociale e storico di famiglie cristiane, di cui molte erano emigrate all’estero e le loro proprietà erano considerate “degli assenti”, cioè esposte all’esproprio o a certi abusi dall’Occupazione. Don Johnny fece molto per aiutare quelle famiglie e, possiamo proprio affermarlo, salvare l’identità del villaggio di Taybeh. Talvolta, i proprietari dall’estero davano delega a Don Johnny di agire: vi piantava degli alberi (olivi, di solito), vi esercitava qualche attività agricola e, addirittura, con l’aiuto di benefattori, acquistava persino quei piccoli pezzi di terreno, a nome del Patriarcato latino di Gerusalemme, per non esporli all’alienazione.
Non sempre è stata un’operazione semplice. Don Johnny è stato elogiato, soprattutto dai fedeli laici, ma anche criticato per queste sue iniziative che sembravano piuttosto sociali e poco pastorali. Don Johnny rispondeva con coraggio che Taybeh è l’unico villaggio ancora interamente cristiano da preservare, e ripeteva il principio diventato poi tradizionale, presso la popolazione cristiana: “Per i cristiani di Terra Santa, la storia ci insegna che salvare uno spazio geografico è assicurare un tempo storico (un avvenire nella storia)”.
Una pastorale generatrice e feconda: “Abuna Johnny, controlli la sua impetuosità”
Più tardi, anche dopo la partenza di Don Johnny, ma sempre sulla spinta della sua intraprendenza e come effetto della visione di Don Johnny (di rispondere ai bisogni della popolazione e di sfruttare tutte le possibilità di Taybeh), misero la pastorale della parrocchia di Taybeh su dei binari di una vitalità molto feconda che generò molte iniziative ulteriori, grazie ai 6 parroci si susseguirono e corrisposero alla visione di Don Johnny. Nel 2005, per esempio, Don Raed Abusahliah, parroco di Taybeh per 10 anni, costruì il “Beit Afram Elderly Home” per la cui gestione si succedettero diverse comunità religiose: le suore “Figlie di Nostra Signora Addolorata” (2005-10); le consacrate “Adoratrici perpetue della divina Volontà” (1010-11); i consacrati brasiliani “Figli di Maria” (2011-2020); e le suore “Serve del Signore e della Vergine di Matarà” ramo dell’Istituto del Verbo Incarnato (2020…). Attiguo, vi edificò anche una nuova “Beit Afram guest house” per pellegrini e frequentatori di tutte quelle attività.
Vennero a stabilirsi a Taybeh anche le Suore della Croce di Gerusalemme (1998), per la collaborazione parrocchiale e per il centro pellegrini. Furono accolti anche alcuni membri della nuova comunità “Domus Juventutis-Piccoli fratelli dell’Accoglienza” (2012), per l’animazione dell’adorazione eucaristia permanente nel centro Charles de Foucauld e per un impegno sanitario nel villaggio; e alcune monache della “Famiglia di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine e di San Bruno (2018) che vivono uno stile di vita claustrale certosino.
Per riassumere tutto quello che Don Johnny ha fatto a Taybeh, forse una lettera del Patriarca Beltritti ne svela la forza motrice. Quando il patriarca nominò Don Johnny Sansour parroco, il 19.11.1975, gli scrisse una lettera dove, dopo diversi consigli pastorali ordinari, aggiunse con paterna bontà: “Controlli il Suo carattere un po’ impetuoso, e sia sempre paziente e caritatevole… Sono sicuro che reggerà questa parrocchia con prudenza, zelo e carità”. Possiamo dire che Don Johnny trasformò veramente la sua “impetuosità” in energia zelante e intraprendente in tante belle opere pastorali.
4 - Cancelliere patriarcale cooperativo ed efficace
Il 26 giugno 1989 il patriarca Michel Sabbah nomina Don Johnny Sansour cancelliere del patriarcato. Una nomina molto importante e delicata che, come si sa, nella tradizione del patriarcato copre molti ruoli, soprattutto considerato il momento storico speciale in cui avvenne:
- periodo nuovo del primo patriarca arabo (Mons. Michel Sabbah, 1987- );
- tempo della prima Intifadha (1987-1993) con tutte le sue numerose conseguenze;
- la prima guerra del Golfo (17 gennaio 1991) che interessò da vicino anche tutti i paesi del Patriarcato;
- inizio della grande iniziativa del Sinodo Pastorale delle Chiese cattoliche di Terra Santa.
Con l’aiuto di P. Pierre Grech, segretario delle Conference episcopali AOCTS e CELRA, suo vecchio rettore del seminario, di cui aveva conservato sempre una solida fiducia, Don Johnny seppe aiutare in modo molto efficace il patriarca e il patriarcato in questa fase delicata.
- Parroco multiculturale e multireligioso di Paphos (Cipro)
A Cipro c’è una presenza secolare della Custodia francescana di Terra Santa. Ma a Paphos, nel Sud-Ovest di Cipro, non c’era una presenza permanente cattolica; da Limassol veniva un francescano americano, Fr. Mark Hurst, per un ministero piuttosto occasionale, soprattutto per i pochi cattolici latini di lingua inglese.
Le cose cambiano inaspettatamente nel 1992. Il 3 marzo, il patriarca M. Sabbah riceve una lunga lettera con più di centinaia di firmatari della zona di Limassol-Paphos (Cipro), accompagnata da una lettera del Vicario patriarcale, P. Umberto Baratto, ofm, e da P. Mark Hurst, ofm. di Limassol. Le due lettere chiedevano al Patriarca di nominare per la zona di Paphos un sacerdote latino con presenza stabile, data la crescita dei fedeli latini, soprattutto stranieri, e non solo inglesi, in quella zona.
Il patriarca Sabbah, davanti a questa richiesta, non trovò di meglio che rivolgersi a Don Johnny. Il 25.5.1992, questi accetta l’invito del patriarca per essere mandato come quasi-parroco, e poi parroco a Paphos. All’arrivo di Abuna Johnny con una presenza permanente, i fedeli di rito latin, oltre agli inglesi, spuntano fuori: francesi, italiani, polacchi, tedeschi, filippini e anche dai paesi arabi.
Anche se l’isola faceva storicamente parte del Patriarcato Latino di Gerusalemme, per il nuovo parroco era un cambio radicale per lo stile di pastorale di solito seguito in Palestina. Don Johnny, che già conosce il greco, si butta corpo e anima in questa nuova esperienza, si inserisce nel Vicariato patriarcale latino di Cipro, diretto tradizionalmente da un padre francescano. Egli osserva che i bisogni più impellenti della comunità cristiani sono la pastorale della comunità, l’educazione a livello internazionale e gli anziani.
Un centro pastorale per i diversi fedeli di rito latino della regione
Don John[4] comincia a collaborare con la Chiesa greco-ortodossa, di gran lunga maggioritaria nell’isola. I fedeli latini stabili sono piuttosto poco numerosi, ma più numerosi sono i vacanzieri, i pensionati, i turisti stagionali europei, i soldati delle basi inglesi e i numerosi immigranti filippini, srilankesi, polacchi e di vari altri paesi... La sua comunità risulta essere, in realtà, molto copiosa, dispersa e composita. La sua collaborazione si allarga anche agli anglicani di cui, con il tempo, tre pastori diventano cattolici e si fanno ordinare sacerdoti.
La collaborazione con la Chiesa greco ortodossa diventa così forte che il vescovo di Paphos, S.B. Chrysostomos, futuro metropolita di Cipro, concede a Don Johnny per la comunità latina di San Paolo, l’uso d’una delle sue antiche chiese ortodosse. Paphos era la capitale di Cipro al tempo dei romani. Là arrivarono Barnaba e Saul, che da Paphos in poi adotta il nome romano di Paolo; là San Paolo compì il miracolo della cecità e guarigione del mago Elymas; e là convertì Sergio Paolo, il primo governatore romano a diventare cristiano (Atti Apostoli, 13). Vi è un grande sito archeologico, l’antica Basilica Panagia Chrysopolitissa a 7 navate, dove si conserva una colonna, chiamata tradizionalmente di San Paolo. Nel sito è conservata appunto una chiesa, la Aya Kyrikya (Sta Ciriaca), di medie dimensioni ma antica e carina, concessa in uso ai fedeli latini, anche per il servizio di altre comunità.
Bisogna aggiungere che, secondo i luoghi e le persone, di carattere stagionale, Don Johnny usava per la comunità latina altre succursali che si erano aggiunte nella zona di Paphos: la chiesa di San Nicola a Polis, la chiesa di S. Antonio (dei copti ortodossi), la chiesa di San Dimitrio e la cappella del cimitero dedicata ai ss. Cosma e Damiano.
Per la crescita spirituale della Comunità, accolse a Mesa Khorio, il 6 dicembre 2004 la famiglia monastica delle Monache di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine e di San Bruno. “La Chiesa di Paphos può dirsi completa – diceva - adesso che c’è anche una vita contemplativa”. La loro esperienza durò, purtroppo, solo fino al 2014 quando si resero conto che, per diversi motivi, non c’era per loro spazio per una vita monastica certosina.
L’educazione scolastica a livello internazionale
Per l’educazione, Don Johnny aveva pensato innanzitutto di fondare una scuola materna a Kalo Chorio (Paphos) nel 1999, “La Souris Verte kindergarten”, con l’intento di evolverla gradualmente in una piccola scuola cattolica. La scuola materna ha funzionato fino al 2012 quando, per questioni economiche, è stata chiusa. Sempre nel campo dell’educazione, soprattutto internazionale per i numerosi stranieri presenti nell’isola, Don Johnny si è inserito piano piano nella gestione partecipata della famosa scuola “The international School of Paphos” (ISOP), istituto privato per azioni, fondato nel 1987, diurno e collegio, piuttosto laico, di ottima qualità, nel centro della città. Don Johnny aveva acquisito, con il consenso del Collegio dei Consultori a nome del Patriarcato Latino, persino delle azioni che ogni tanto producevano qualche guadagno minore per la comunità latina e dava la possibilità di partecipare alla vita di questo istituto.
Mesa Khorio: le monache di clausura e l’Archangel Michael Hospice per anziani e malati terminali
Grazie alla collaborazione poi con le autorità e con gli anglicani, Don Johnny poté comperare un terreno, a Mesa Chorio (vicino a Paphos), ancora nel 1995, per il progetto di un cimitero che poi maturò anche verso la costruzione, sempre accanto allo stesso terreno, dell’“Archangel Michael Hospice” per gli anziani terminali, a nome del Patriarcato Latino di Gerusalemme.
Il progetto richiese molti anni di gestazione: dal 1996 la raccolta dei fondi, dal 2002 l’inizio dei lavori di costruzione, in mezzo a tantissime difficoltà; nel giugno 2010 il papa Benedetto XVI non poté recarsi a Paphos, ma almeno benedisse la lapide d’ingresso del progetto. Con l’aiuto di molti amici, anche dei fratelli di Don Johnny in Perù, finalmente il 4.12.2014 il patriarca Fouad Twal poté inaugurare l’opera, ma senza la presenza del parroco fondatore, purtroppo, già semiparalizzato e assolutamente allergico a qualsiasi atto pubblico ufficiale senza una guarigione almeno soddisfacente.
Come già scritto, Il 6 dicembre 2004, sempre a Mesa Khorio, un piccolo gruppo della Famiglia monastica delle di “Monache di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine e di San Bruno” si stabilì in una casa che Fr. Johnny aveva trovato per loro, e dove veniva a celebrare la messa quattro giorni alla settimana.
Durante il tempo del suo ministero a Paphos, Fr. John accolse diverse personalità e preparò diverse occasioni ecclesiali. Il 29 giungo 2009 accolse il Card. Renato Martino, presidente del Consiglio Justitia et Pax, venuto per la chiusura dell’Anno di S. Paolo. Nell’ottobre 2009 ricevette i cardinali L. Sandri e W. Kasper per la Commissione teologica di dialogo tra le Chiese cattolica e ortodossa.
6 - Provicario patriarcale, canonico, diversi collaboratori e diverse occasioni
Nel frattempo, il primo nov. 2008, il patriarca Fouad Twal l’aveva nominato provicario patriarcale per Cipro in assenza momentanea del vicario ordinario. Il 10.2.2009, anche in segno di riconoscenza, lo nominò Canonico del Santo Sepolcro.
Don Johnny si faceva aiutare da altri sacerdoti stabili o di passaggio: Fr. Derek Gibbs, di Sheffield, pastore cappellano per gli anglicani a Paphos (1992), convertitosi al cattolicesimo (1994), ordinato sacerdote per il patriarcato latino di Gerusalemme il 27.1.1996, con speciale permesso del card. Joseph Ratzinger, deceduto nel 1998; Fr. Jerome Thompson, americano, deceduto all’aeroporto nel 2000; Fr. John McNally; Fr. Malcom Smeaton, pastore anglicano convertito nell’UK dove ancora vive; Fr. James Kennedy tutt’ora attivo a Paphos.
Assicurata la sua presenza a Paphos, Don Johnny nella sua cura pastorale per i cristiani di rito latino, pensava di creare, d’accordo con il Vicario Patriarcale per Cipro, altri centri altrove, come a Polis, a Pissouri, e soprattutto a Aya Napa… Le Suore di Betlemme, che l’hanno conosciuto bene in quel tempo a Cipro, non esitano e definirlo: “Un vero missionario continuamente itinerante da un posto all’altro, per un’occasione pastorale o un’altra, per diverse comunità e in diverse lingue. L’interessante è che, in questa varietà di situazioni, sembrava trovarsi sempre a suo agio, dovunque e con tutti”.
Un aspetto importante del suo ministero fu la celebrazione di molti matrimoni nella sua antica e suggestiva chiesa Agia Kyrikia di Paphos, anche per molti stranieri che venivano dai più diversi paesi apposta a Cipro per sposarsi. Naturalmente, come si può immaginare, è stato un grand impegno per lui il controllo dei documenti per la validità canonica e, quando occorre, civile di tutti questi matrimoni.
La sua avventura di salute frenò improvvisamente, purtroppo, il suo zelo apostolico nel 2010
Undici anni di Calvario: “Sofferenze, pazienza, ribellione interna e delusione”
Il 13 gennaio 2010, nell’anno sacerdotale, pochi mesi prima della visita del papa Benedetto XVI a Cipro (giugno 2010), Abuna Johnny fu colpito, purtroppo, da un’emiplegia e da una afasia, causate dall’ipertensione sanguinea, che ebbero delle conseguenze nel suo parlare e nella deambulazione. Per alcuni mesi un sacerdote inglese, Fr. James Kennedy, continuò a occuparsi della comunità latina di San Paolo a Paphos, finché venne nominato P. Carlos Ferrero della Comunità del Verbo Incarnato.
Don Johnny venne curato a Cipro, poi a Gerusalemme (febbraio 2010), e a Beit Jala (5 mesi nella “Bethlehem Arab Society for Rehabilitaion”); in seguito a Lima (Perù) per 4 anni, dal fratello e altri parenti, e ancora a Cipro (Larnaca) nella “Casa di riposo Terra Santa” della Custodia di T.S. gestita dalle Suore Francescane missionarie del Sacro Cuore. Don Johnny sperava profondamente in una sua guarigione e, nei primi anni, non poteva accettare l’idea che non ci fosse niente da fare per migliorare il suo caso.
La sua situazione aveva degli alti e bassi. In certi momenti bassi, aveva persino delle reazioni di protesta e di agitazione, contro sé stesso innanzitutto, per trovarsi improvvisamente quasi incapace di fare qualcosa. Lui che era così attivo, che si sentiva ancora nel pieno delle sue forze, non accettava di vedersi quasi totalmente dipendente da altre persone, persino nelle piccole cose personali, e doverle disturbare continuamente. Ogni tanto, ritrovando un piccolo sorriso, lui chiamava quelle sue reazioni polemiche: “Lamenti biblici…come le confessioni di Geremia e di Giobbe!”
Il risultato delle cure e della fisioterapia, molte e diversificate, come si è visto dai suoi molteplici spostamenti, non fu soddisfacente. Per 11 anni dovette trascinarsi dietro questa semi paralisi, a fasi alterne, quasi sempre a letto o nella carrozzina, ma per fortuna poteva almeno vedere e sentire e, anche se poco, parlare.
7- Una profonda conversione interiore: Adesso capisco meglio cosa vuol dire “O felix culpa”
In realtà, gradualmente, una “conversione interna” avveniva. Per l’anno del giubileo d’oro sacerdotale, nel 2020, rifiutò che si organizzasse qualsiasi piccolo atto giubilare, nemmeno con i suoi confratelli d’ordinazione: “…Per non disturbare…Non sono presentabile… Ringrazio il Signore nel mio cuore e, riconoscente, se lo fate anche voi. Accettare e offrire il mio stato di salute è la migliore preghiera di ringraziamento per questi 50 anni di ministero”.
Alla fine, si rassegnò, ed è stato per lui un vero atto di umiltà e di realismo. L’accettazione dei suoi limiti è stata, diceva lui stesso, “una vittoria contro il mio contegno un po’ fiero e troppo fiducioso nelle proprie capacità”. Abbandonò finalmente l’idea di ritornare a Paphos e accettò di ritirarsi nella “Casa Afram” per anziani nella “sua” Taybeh, del Patriarcato Latino di Gerusalemme (2016) dove ebbe la cura dei consacrati “Filhos de Maria “(Brasiliani) e, da giugno 2020, delle suore dell’Istituto del Verbo Incarnato (“Serve del Signore e della Vergine di Matarà”). Da solo, gli era molto difficile celebrare la messa, ma concelebrava volentieri in camera. Leggere gli costava molto, ed era molto riconoscente quando qualcuno veniva, normalmente una suora, a leggergli l’ufficio delle ore e gradiva questa preghiera piuttosto in lingua latina!
Era felicissimo quando i confratelli sacerdoti, le suore o i fedeli venivano a fargli visita, in modo speciale mostrava il suo apprezzamento per quelli che venivano apposta da lontano (dalla Giordania o dalla Tunisia, per esempio). Questo stato fu per lui, come ci diceva in confidenza durante una visita: “È un vero Calvario non tanto di dolori, ma di sofferenza e di… infinita pazienza, saber, saber, saber! (‘pazienza’ in arabo). E aggiungeva: Ma è un calvario di preghiera con Gesù e dunque di redenzione, dove esercito sempre il mio sacerdozio. È in questo stato che ho capito veramente cos’è la preghiera”!
In un’altra delle visite ci soprese con la seguente confidenza: “Adesso posso capire meglio cosa volesse dire sant’Agostino con il suo: “O felix culpa “.
Come è successo ad un buon numero di fedeli, soprattutto di alcuni santi, nella storia della Chiesa, Abuna Johnny aveva ricevuto dallo Spirito Santo una grazia speciale: di riconoscere nelle sue sofferenze un segno forte della volontà di Dio Padre e dell’amore del suo amico Gesù di cui si vedeva sempre e comunque apostolo e pastore.
Possiamo concludere, non senza un forte sentimento di commozione e di ammirazione, che la fase finale della sua vita era la realizzazione, anzi il coronamento completo del suo motto sacerdotale: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offe la sua vita per le pecore “. La Chiesa Madre di Gerusalemme ha diritto di essere veramente umilmente fiera e profondamente riconoscente dell’esempio incoraggiante di questi suoi figli e sacerdoti.
8- Una morte serena e edificante: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”
Sereno e rassegnato, il 14 febbraio ritornò alla casa del Padre celeste, all’ospedale S. Giuseppe di Gerusalemme, lasciandoci la testimonianza forte e chiara di un sacerdote che mise generosamente tutte le sue capacità, intellettuali e di azione, a servizio della chiesa locale di Terra Santa in questo frangente preciso della sua storia.
Ricordo bene che, ancora seminarista, Johnny prediligeva i salmi di Davide - che lui chiamava: “il mio più stretto vicino di casa” - (Beit Jala e Betlemme sono infatti su due colline adiacenti dirimpettaie). Gli piacevano i salmi non solo per i loro significati religiosi profondi, ma anche per le loro “elevazioni poetiche”. Come il salmo 22 che lui canterellava o gorgheggiava spesso, e che noi adesso vogliamo cantare o recitare alla sua memoria e per il suo riposo eterno:
“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza… Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni”.
I funerali del canonico Abouna Johnny Sansour sono stati celebrati il 15 febbraio 2021, nella Concattedrale del Patriarcato Latino di Gerusalemme, con semplicità a ausa della pandemia globale del Covid-19, ma anche con sentita commozione, dal suo confratello Vescovo Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale, alla presenza di S. B. il patriarca Pierbattista Pizzaballa, di tutti i sacerdoti della residenza patriarcale, di alcune religiose del Rosario, di San Giuseppe e delle Pie Discepole (Suore del Patriarcato), e del personale laico della Curia. Il suo corpo riposa, nella speranza della risurrezione, nella cripta funeraria della Concattedrale.
“Che il suo ricordo rimanga una benedizione in eterno”
+ Giacinto-Boulos Marcuzzo
Gerusalemme, 24.4.2021
[1] Per questo elaborato, faccio riferimento ai miei ricordi personali di compagno di studio in seminario e di confratello nel clero patriarcale. Mi sono avvalso, poi, soprattutto per le informazioni di precisione, dell’archivio storico del patriarcato. Non ho potuto consultare, purtroppo, gli archivi locali delle parrocchie dove D. Johny ha prestato servizio.
[2] Il suo ingresso in seminario, ci ricordava umoristicamente il seminarista Johnny, avvenne grazie a un piccolo espediente, aneddoto curioso, del padre e del parroco Don Michel Karam! Suo padre, macellaio e allevatore di maiali, ben conosciuto in tutta la zona, aveva sentito dire dal parroco che, secondo il Codice di Diritto Canonico (il vecchio!) il figlio d’un macellaio non poteva diventare sacerdote e dunque entrare in seminario. Nel foglio di presentazione del candidato seminarista, alla domanda: “Mestiere del padre?”, suo papà rispose, in modo diplomatico, con il nome del suo hobby preferito: “tagliatore di pietre”, mestiere molto popolare e apprezzato in Palestina. “È stato un innocente stratagemma profetico - diceva Abouna Johnny - perché come sacerdote, mi sono spesso visto come un vero intagliatore e un cesellatore di costumi!”
[3] Era forse un modo per riabilitare il suo concittadino biblico Achitofel che fece la fine di Giuda, proprio a Gilo (Beit Jala)?
[4] A Cipro era chiamato in greco Patera Joannis. Ma nella sua comunità parrocchiale (composta soprattutto di stranieri) è sempre stato chiamato Father John.
[5]Tra le varie esperienze vissute a Cipro, P. Johnny fu testimone di un fatto speciale e curioso. Scrisse al Patriarca: “Il 14 febbraio 2006 a Paphos, durante e dopo la messa, una signora candese, Lilian Bernas, le sanguinarono i piedi… aveva delle ferite che somigliavano a quelle che vediamo nel crocifisso… Dal tessuto e dal cotone imbevuti con il suo sangue emanava una fragranza piacevole… Lo stesso fenomeno successe anche nella cappella del cimitero a Mesa Khorio. Si tratta forse di un fenomeno di stigmatizzazione?”