Omelia di Mons. Pizzaballa per la Professione Solenne di Sr. Guadalupe de Dios

Published: May 10 Sun, 2020

Professione Solenne di Sr. Guadalupe de Dios

Monastero S. Chiara, Gerusalemme, 10 maggio 2020

At 6,1-7; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12

Carissimi fratelli e sorelle, Carissima Suor Guadalupe,

Il Signore vi dia pace!

Siamo qui riuniti, in forma un po’ diversa da come forse avremmo tutti voluto, a causa delle restrizioni ancora in vigore per l’epidemia che ha sconvolto il mondo. Ma siamo anche contenti di poter comunque vivere questa celebrazione importante, per il monastero di S. Chiara, per la Chiesa di Gerusalemme e soprattutto per suor Guadalupe. È un momento atteso da anni, la conclusione di un lungo e non sempre facile e lineare percorso di ricerca della volontà di Dio. Talvolta non è semplice trovare il filo rosso della presenza e del volere di Dio all’interno delle nostre vicende, fatte certamente di tanta buona volontà, di sincero desiderio di ascolto della Parola, ma allo stesso tempo mai esenti dalle ferite che la nostra umanità si porta dentro. Oggi siamo qui per rendere lode a Dio per tutto, perché alla fine tutto è grazia. Quanto vissuto ti e ci ha permesso di contemplare meglio e con più libertà il Suo Volto.

Ci illumina, in questo contesto, la Parola appena proclamata.

Negli Atti degli Apostoli, che leggiamo in questi giorni pasquali, ci viene descritta la storia della prima comunità cristiana di Gerusalemme, di coloro che ci hanno preceduto. Come abbiamo visto dal brano di oggi, anche allora non mancavano le incomprensioni e le tensioni, legate a bisogni reali, basilari, come il servizio delle mense. Già da allora, infatti, la Chiesa era attenta alle necessità concrete della comunità e si dedicava a un servizio che oggi chiameremmo “sociale”. Le vicende della comunità primitiva, come quelle dell’antico Israele, non sono mai state esenti da tensioni e incomprensioni, e la Bibbia non nasconde nulla di tutto ciò. In questi racconti possiamo leggere in filigrana la storia di ogni comunità cristiana in ogni tempo. Si tratta di comunità concrete, reali, impegnate in attività quotidiane ordinarie, simili a quelle che svolgiamo anche noi oggi. E in quelle attività affiora la loro umanità, come la nostra e quella di tutti, fatta di discussioni, opinioni e visioni diverse, incomprensioni se non a volte addirittura divisioni. Sembrerebbe, a prima vista, che la Bibbia, in quei racconti, voglia farci conoscere situazioni di piccolezza e infedeltà. E certamente c’è anche questo. Ma, insieme, mi pare, ci vuole far vedere come in quelle vicende, in quelle incomprensioni e nelle seguenti discussioni, si faccia strada, poco alla volta, anche il progetto di Dio. Come nasca, cioè, qualcosa di nuovo e di imprevisto che, probabilmente, non sarebbe emerso se non ci fossero state quelle discussioni e quei disaccordi. Nel nostro brano, ad esempio, quelle incomprensioni hanno portato a far sorgere nella Chiesa il ministero diaconale. Un passaggio importante nella storia della Chiesa. Un discorso simile si può fare per il modo con il quale si è arrivati alla comprensione della necessità dell’annuncio ai pagani e così per tanti altri momenti importanti nella storia della Chiesa.

Le differenze anche dolorosamente pungenti all’interno delle comunità, dunque, non sono sempre da leggere come un ostacolo o un’infedeltà, un’incapacità ad aprirsi al progetto di Dio, o come una barriera che ci separa dalla piena comprensione della Parola, ma sono spesso – se vissute con spirito di fede – proprio il Luogo nel quale la volontà di Dio si fa strada. Sono come i necessari dolori del parto. Non vi è, infatti, alcuna nuova nascita, infatti, senza travaglio. Non dobbiamo, dunque, fuggire troppo facilmente da quelle situazioni, ma imparare a viverle cristianamente.

Chissà quanti dolori, quante incomprensioni, discussioni e fatiche hanno accompagnato il tuo cammino, Suor Guadalupe; quanti pianti e battute di arresto, quanti rifiuti e rimandi… tutto all’interno di discussioni e valutazioni sincere, da un lato, e anche di tanta sofferenza dall’altro. Ma, a causa di tutto ciò, c’è stata anche tanta grazia, tanto ruminare sulla Parola che ogni volta portava a qualcosa di diverso e di inatteso. Saresti arrivata qui, senza tutto questo? Il progetto di Dio che ti ha portata a Gerusalemme si sarebbe rivelato così chiaramente senza questo travaglio? La storia non si fa con i se e con i ma, lo sappiamo. Sappiamo che questo è stato il tuo percorso, come ognuno ha avuto il suo. Ma il brano degli Atti ci dice chiaramente che questo è anche il modo usuale dell’evolversi di ogni comunità. E chissà in questo periodo così particolare, che ancora non riusciamo a decifrare, con tante incertezze e paure, con tanti travagli in corso, chissà a cosa il Signore ci sta preparando, cosa questa sofferenza sta generando nel cuore di questa nostra Chiesa e nel nostro. E forse possiamo dire lo stesso anche per la vostra comunità monastica, e per tante altre. A cosa il Signore vi sta preparando? Non siamo ancora in grado, probabilmente, di rispondere a questa domanda, ma una cosa sappiamo: mai nulla di quanto esperimentato nell’ascolto sincero della Parola di Dio, nulla di quanto attraversato e sofferto nell’autentico desiderio di ricerca della volontà di Dio, nulla andrà perduto. Quanto vissuto in quel modo certamente acquisterà un senso e porterà ad un di più di conoscenza del Signore, ad un rapporto con lui sempre più profondo e libero. Chiediamo, dunque, il dono e la grazia di vivere questo periodo particolare con il medesimo spirito e con lo stesso atteggiamento, liberi dalla pretesa di comprendere tutto subito. Pretesa che esprime, in fondo, forme di possesso e di paura, che sono i più grandi ostacoli per ogni comunità e per ogni cammino spirituale.

Il brano degli Atti ci dona ancora un altro grande insegnamento: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense» (6,2). In queste discussioni comincia a sbocciare nella comunità la percezione della diversità dei carismi, che più avanti, con San Paolo, diventerà ancora più chiara. C’è chi ha il dono di servire alle mense, e chi dovrà dedicarsi alla Parola di Dio.

Il tuo carisma suor Guadalupe, il vostro carisma, sorelle, è proprio questo: stare di fronte alla Parola di Dio. E questo non solo non toglie nulla al servizio delle mense, ma gli è anzi complementare. La comunità non sarebbe completa se non ci fosse il carisma del servizio ai poveri, oltre a quello della contemplazione della Parola di Dio. Se tutti facessero le stesse cose, la comunità non manifesterebbe la multiforme ricchezza dei suoi doni. Ciascuno, invece, ha il suo ruolo, il suo carisma e ministero. Lo vediamo molto bene anche qui a Gerusalemme. [Nella nostra piccola comunità ecclesiale abbiamo, infatti, una presenza religiosa che è espressione della pluralità delle lingue e dei carismi presenti nel resto della Chiesa universale. Presenza religiosa che, insieme alle parrocchie e alle comunità locali sparse su tutto il territorio, ha un ruolo fondamentale, direi imprescindibile, nel dare alla nostra Chiesa una forma e un’identità precise; e questa consiste essenzialmente in attenzione alle fasce deboli della popolazione (bambini, disabili, anziani, famiglie problematiche, ecc.); alla formazione ed educazione dei giovani locali (scuole ed università); all’accoglienza dei pellegrini da tutto il mondo (Luoghi Santi); allo studio e alla diffusione dell’amore alla Parola di Dio (Centri biblici); allo studio e formazione teologica di religiosi da e per tutto il mondo (studi teologici) e alla contemplazione e alla preghiera (monasteri contemplativi).] Se mancasse anche una sola di queste caratteristiche, la nostra Chiesa sarebbe più povera e incompleta.

Ringraziamo il Signore per il dono dei tanti carismi presenti nella nostra Chiesa e, in questa sede, per il vostro prezioso carisma di preghiera e contemplazione della Parola, che richiama tutti alla sorgente e al senso del nostro stare qui in Terra Santa da cristiani.

Il Vangelo ci fa fare un passo ulteriore nella comprensione di quanto stiamo celebrando. In questo brano Gesù afferma che Lui è la porta di accesso alla conoscenza di Dio: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Egli, inoltre, si presenta come una unità indissolubile con Dio Padre, “io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11).

Sono affermazioni inaudite, se ci pensiamo bene. Siamo talmente abituati ad ascoltarle, che forse non ci facciamo più caso. Questo brano di Vangelo ci rivela chi è Dio e come noi possiamo arrivare a Lui, come si fa a raggiungerlo. Dio, l’Alterità inavvicinabile e invisibile, qui si rende vicino e tangibile. Gesù è il Volto di Dio, e contemplando Lui contempliamo Dio e abbiamo accesso alla comprensione della Verità.

Questo brano, purtroppo, è stato usato nel passato per giustificare forme di proselitismo, a volte coatto. Oggi il dialogo interreligioso è una realtà assodata per la vita della Chiesa e, quelle forme, le abbiamo giustamente rigettate. Ma questo brano continua a porre e porrà sempre un bel dilemma per il dialogo interreligioso: come dialogare con le altre fedi, se Gesù è l’unica via per fare esperienza di Dio e della Sua salvezza? Se non vi è altra possibilità di conoscere la Verità all’infuori di Gesù? L'idea di una vaga verità generale, infatti, di cui tutte le religioni danno una sorta di testimonianza trasversale, è estranea al cristianesimo.

La risposta a questa domanda è che, sebbene ovviamente sia vero che molti cristiani e Chiese siano stati arroganti nel modo in cui hanno presentato il Vangelo, l'intera impostazione di questo brano mostra che tale arroganza è una negazione della verità stessa che afferma di presentare. La verità, la vita, attraverso la quale conosciamo e troviamo la via, è Gesù stesso. Non un Gesù astratto o generico, ma il Gesù che lava i piedi ai discepoli e chiede loro di seguire il suo esempio, quel Gesù che sta per dare la vita come un pastore per le pecore. Non dimentichiamo che questo discorso di Gesù viene pronunciato nel Cenacolo, dopo la lavanda dei piedi, alla vigilia della sua passione. Non vi è dunque nulla di arrogante in esso. Solo nel recuperare il coraggio di seguire Gesù nella missione e vocazione indicate nel Cenacolo, potremo anche comprendere fino in fondo il senso di quell’affermazione inaudita: io sono la Via, la Verità e la Vita.

Se non si capisce questo, non potremo nemmeno comprendere la visione del Padre che l’intero brano ci presenta. Guardiamo Gesù, quello che piange sulla tomba del suo amico, quello che lava i piedi ai suoi seguaci e conosceremo chi è il vero Dio. Questa era la risposta di Gesù alla bellissima richiesta di Filippo, “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8). È la sua risposta alle domande spontanee che sorgono ancora oggi nei nostri cuori. Quando Gesù, dopo avere lavato i piedi ai suoi, dice io sono la Via, ci dice quale sia il modo specifico di conoscere, raggiungere e mostrare il Padre. Solo quando compiremo ciò che fece Gesù nel Cenacolo, potremo essere creduti quando parleremo di Dio, solo così contempleremo e faremo conoscere il vero Volto di Dio Padre.

Mi piace pensare alla tua storia e alla tua vocazione, Suor Guadalupe, come ad una faticosa ma sincera ricerca del volto del Padre. In fondo, però, se ci pensiamo un attimo, questa è anche la storia di tutti noi. Nella domanda di Filippo sta ogni nostra vocazione: cercare e contemplare il Volto di Dio. Di solito questa ricerca comincia con progetti alti e sublimi, con dedicazione e slanci straordinari, per scontrarsi poi con la nostra umanità e quella di quanti incontriamo sul nostro percorso. E così, poco alla volta, per mettere più a fuoco l’immagine di quel Volto, che corrisponde sempre meno all’immagine ideale che ci eravamo fatti inizialmente, abbassiamo il tiro, e scopriamo sempre di più che il Suo Volto si trova nella quotidiana capacità di perdonarci a vicenda, nell’amare imperfetto e altalenante del nostro cuore, nel volto del fratello e della sorella così diversi e lontani da noi, nel desiderio mai completamente appagato di incontro.

Ebbene, in quell’imperfetto amarci, nel faticoso lavarci i piedi l’un l’altro, vissuto con desiderio sincero di verità, libero quanto possibile da ogni forma di possesso, proprio in quel modo facciamo esperienza di Gesù e contempliamo il Volto di Dio.

[Questo brano evangelico ricorda il versetto di un salmo, che dice: “Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine” (Sl 17,15). La giustizia biblica consiste nell’osservare i comandamenti, nel fare la volontà di Dio. E proprio in questo lungo discorso di addio, Gesù ci consegna il suo comandamento, quello dell’amore, e ci fa conoscere la sua volontà (13,34). Nel Vangelo troviamo la presentazione della più alta forma di giustizia, con la quale la relazione tra Dio e l’uomo viene ristabilita nella sua armonia, sulla croce, quando Gesù dona la vita perdonando i suoi crocifissori. È amandoci a vicenda, dunque, che compiamo ogni giustizia e contempliamo il volto di Dio.

Come riuscire a tanto? Non saremo certo noi da soli a renderlo possibile. Per entrare in questo mistero, abbiamo bisogno dello Spirito, del fuoco del Suo amore.

Per questo, tra poco, nella preghiera consacratoria, pronunceremo queste parole: Ora, dunque, umilmente ti supplichiamo, Padre: manda lo Spirito Santo su questa tua figlia … Custodisca fedelmente l’unione a Cristo… ami la Chiesa … e nella carità di Cristo abbracci tutti i fratelli, testimoniando la beata speranza dei beni celesti.

È nello Spirito Santo che acquisteremo questo sguardo nuovo e redento sul mondo e sulla vita, la capacità di amare la Chiesa e i fratelli nonostante tutto, con la libertà di chi contempla già il Volto di Dio e vive nell’attesa della pienezza dell’incontro con Lui.

Cara Suor Guadalupe,

possa lo Spirito Santo che oggi scenderà ancora una volta su di te, riempirti di quel fuoco santo che purifica da ogni impurità, infonde tanta nuova energia, infiamma di un amore rinnovato e apre così ad una nuova e gioiosa contemplazione del Suo Volto di misericordia e di pace. Amen.

†Pierbattista Pizzaballa
Amministratore Apostolico