29 giugno 2020
Ordinazioni San Salvatore
Carissimi fratelli e sorelle,
Carissimi ordinandi,
Il Signore vi dia pace!
Sono particolarmente lieto di essere tra voi oggi per questa bella celebrazione. È ormai un momento tradizionale passare la solennità dei Santi Pietro e Paolo con la Custodia e con l’imposizione delle mani per ordinare nuovi sacerdoti. E ogni volta nei volti dei nuovi sacerdoti la Chiesa universale qui si ritrova e apre gli orizzonti della nostra Chiesa di Gerusalemme al mondo intero e porta in mezzo a noi sempre nuove prospettive e allarga i nostri orizzonti. Accogliamo tutto questo dentro un cammino di educazione all’accoglienza della volontà di Dio, che continuamente ci plasma e ci modella, come il vasaio del profeta Geremia (Ger 18,4ss). Lasciamoci allora ancora una volta modellare dalla Parola di oggi, che è assai significativa per il momento che voi state vivendo e vediamo di comprendere cosa il Signore ci stia dicendo in questa celebrazione.
L’episodio di Cesarea di Filippo (Mt 16, 13ss) rappresenta una svolta all’interno della narrazione del Vangelo di Matteo: da questo momento in poi, Gesù inizia a parlare della sua passione, il suo insegnamento si concentra sul tema della croce, i racconti di miracoli si fanno via via più radi, e Gesù si sposta verso la Giudea (Mt 19,1), in un territorio al di là del Giordano. Da lì salirà direttamente a Gerusalemme, dove farà il suo ingresso messianico, al capitolo 21.
E il momento di svolta, come ogni momento di svolta, è segnato da una domanda, posta da Gesù ai suoi discepoli, che riguarda la sua identità: chi sono io per la gente? Chi sono io per voi? (Mt 16,13.15): è la domanda fondamentale, attorno alla quale ruota ogni passaggio vero della vita.
Non è una domanda nuova: tutto il Vangelo nasce esattamente per rispondere a questa domanda, che ritroviamo qua e là: se lo chiede chi l’ha visto placare il mare in tempesta (Mt 8,27), se lo chiede Giovanni dal carcere (Mt 11,3), e la domanda ritornerà in Matteo 21,10, quando Gesù entra in Gerusalemme e tutta la città è scossa e tutti si chiedono: “Ma chi è costui?”.
La novità non sta dunque nella domanda, ma nel fatto che la domanda è posta direttamente da Gesù ai discepoli: non si sta parlando del Signore, non ci si sta interrogando o discutendo su di lui, come spesso accade nei Vangeli.
Qui la domanda viene posta direttamente da Gesù dentro un dialogo, dentro una provocazione diretta.
E questo fa la differenza. Perché la risposta potrà anche essere incompleta o imperfetta, ma se è dentro un dialogo sarà comunque una risposta vera, che nasce da un’amicizia.
Da sacerdoti sarete chiamati a parlare di Gesù più di quanto non lo abbiate fatto fino ad ora. Da religiosi francescani avete già detto una parola chiara e definitiva sul vostro rapporto con Gesù, su chi lui sia per voi. Ma ora siete chiamati ad essere ancora più chiari ed espliciti. Farete omelie, organizzerete incontri di carattere religioso e così via. Sarete un riferimento per le comunità che in un modo o nell'altro vi saranno affidate. Ebbene, il modo in cui dovrete parlare di Gesù come sacerdoti dovrà in un certo senso riportarvi a quanto avete già proclamato con la vostra professione religiosa. La gente non attenderà da voi di sentire un discorso su Gesù, ma di capire dalla vostra vita il vostro desiderio di lui, di stare dentro quella domanda diretta che Gesù ha fatto ai suoi discepoli e che continua a fare ancora a ciascuno di voi, ogni giorno, sempre: chi sono io per te?
Questa è la prima cosa da fare nostra, oggi
Perché diventare sacerdoti significa fare si che la vita sia un dialogo, una relazione e dove, dentro tale relazione, si osa esporsi alla conoscenza reciproca, l’uno dell’altro.
Che cos’è l’Eucaristia, cosa sono i sacramenti, se non un dialogo? Se non uno stile di vita dove ogni realtà umana, dove perfino la materia, diventa possibilità di un dialogo con il Signore e dove, dentro questo dialogo, ogni realtà è umanizzata e divinizzata? Spezzare il pane dell’eucarestia e della Parola per la comunità, cosa che voi sarete chiamati a fare da oggi, richiederà il vostro quotidiano stare dentro il desiderio della relazione che vi sostiene, quella con Gesù. La Chiesa non ha bisogno di ministri del sacro, ma di testimoni del suo amore. Se non c’è Cristo, se non c’è questo stare dentro la domanda fondamentale che Gesù ha posto nel Vangelo di oggi, non resta il vuoto dentro di voi, ci sarà altro a riempire la vostra vita. E si vedrà subito se è così. Non sia così il vostro ministero, ma un servizio risplendente di luce. Abbiate lo sguardo sempre rivolto a Cristo.
Tale sguardo potrà a volte volgersi altrove, o stancarsi di guardare in alto, ma prima o poi la strada ripassa da Cesarea di Filippo, e lì il Signore non mancherà di porre di nuovo la sua domanda. Lui sempre vi attende, con fedeltà.
La seconda novità sta nella risposta di Pietro.
Perché c’è ciò che dice la gente su Gesù, e ciò che dice Pietro.
Per i primi Gesù è un grande personaggio, ma non ha nulla di più né di diverso da un qualsiasi profeta del passato; per Pietro Gesù è qualcosa di inedito, di assolutamente unico, di nuovo, di non paragonabile a nient’altro; è qualcosa “di più”. Non è ancora una risposta completa, perché solo dopo la Pasqua si potrà comprendere la vera identità di Gesù. La risposta di Pietro comunque, anche se dovrà passare attraverso numerose e dolorose vicende e impastarsi di vita vissuta, dice tutto questo stupore di fronte a quest’uomo che ha in sé qualcosa di assoluto, che risponde alla sua sete di assoluto.
Allora bisognerà soprattutto che alimentiate questa sete, prima ancora che trovare la sorgente; bisognerà rimanere ancorati a questa sete che è la nostra e vostra povertà, bisognerà scavare e lasciarsi scavare; non solo perché lì si incontra Dio, ma anche perché lì si incontra veramente l’uomo.
Se siete qui, oggi, è perché il Signore, per voi, non è semplicemente un grande personaggio, un personaggio del passato, ma qualcuno che è vivo e che ha saputo stupirvi, che ha toccato da vicino la vostra vita, in un modo che nessuno di voi avrebbe potuto minimamente prevedere.
Nella prima e nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, ci viene anche detto come il Signore cambia la vita. Sia per Pietro che per Paolo l’esperienza di sequela di Gesù ha segnato una liberazione: negli Atti degli Apostoli Pietro è in carcere e viene liberato da un angelo; e capisce che davvero il Signore l’ha “strappato dalle mani di Erode” (At 12,11). Anche S. Paolo, nella seconda lettura, parla di una liberazione (2Tm 4,17-18): pur essendo abbandonato da tutti e vicino alla morte, in carcere, sente tuttavia che il Signore è stato la sua forza, che per lui – umanamente fallito e solo - il Signore è stato fedele, per cui a Lui ci si può affidare, nella vita e nella morte. Questa è libertà. È questa esperienza di liberazione che dà struttura e forza ad una vita, che segna un passaggio verso la vita nuova.
Nel Vangelo ritroviamo questo passaggio, questo duplice livello di vita declinato in due immagini: da una parte c’è l’immagine della carne e del sangue, ovvero l’esperienza dell’umana fragilità quando la vita è semplicemente ridotta alla sola esperienza umana, naturale, alle sole forze dell’uomo. E dall’altra l’immagine della pietra, di quella roccia a cui Pietro è paragonato, lì dove quella stessa vita si apre alla rivelazione del Padre (“perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” Mt 16,17). Il sacerdote è l’uomo chiamato a vivere un continuo passaggio “da questo mondo al Padre” (Gv 13,1), un passaggio che celebra sì nell’Eucaristia, nei sacramenti, ma prima ancora nella propria vita, nella propria carne.
Non sarà sempre facile comprendere questo modello di libertà e di liberazione. A volte vi sembrerà di essere soffocati da situazioni e strutture che non comprenderete, di essere parte di un meccanismo grande e complesso, di essere in una sorte di carcere come Pietro e Paolo, e avrete la tentazione di fuggire, ma da soli, senza angeli che vi aprano le porte, di cercare cioè un altro tipo di libertà. Sentirete tutta la stanchezza di un servizio che, dopo i primi anni di grazia, potrà diventare ripetitivo e poco comunicativo. Ricordatevi di oggi. Ricordatevi non solo del vostro si al Signore, ma del si di Cristo detto a voi attraverso la Chiesa. Ricordatevi del suo esserci, della sua fedeltà, della vera libertà che sempre vi attende.
Questa umana fragilità, questa carne e sangue, che comunque ci appartiene, può comunque non essere un limite, ma diventare uno spazio che edifica, che costruisce, che rende possibile la vita della Chiesa, la vita di altri, che apre anche per gli altri il passaggio ad una vita più umana e più vera, ad essere anche per gli altri strumenti di una liberazione, di una Pasqua, di un perdono ricevuto e attraverso voi donato. Se insomma starete li continuamente su quella domanda e farete esperienza della sua fedeltà e del suo perdono, potrete anche diventare a vostra volta strumenti del perdono di Dio, ponendovi accanto agli altri, senza giudicare, ma testimoniando con tutto voi stessi che ogni morte, ogni dolore, ogni fatica, ogni lacrima può essere trasformata in vita.
È qui che Gesù vuole portare Pietro e gli altri, con la sua domanda, a Cesarea di Filippo, ed è qui che vuole portare anche noi, a stare dentro questa domanda che non ha niente di innocuo, ma che chiama, che invia, che coinvolge, che chiede continuamente un passaggio verso una vita più vera, per noi e per gli altri. Passaggio non sempre facile a comprendersi, ma che è comunque la sorgente di vita. La vita che oggi vi avvolge, con il suo carico di gioia e di amore.
Possa allora la vostra vita continuare a risplendere e donare a tutti e sempre la stessa gioia di oggi.
Auguri vivissimi e felicitazioni per voi, per le vostre rispettive famiglie e per la Custodia di Terra Santa.
Amen.
+Pierbattista