10 aprile 2022
Domenica delle Palme, anno C
Il brano del Vangelo di Luca che racconta l’ingresso di Gesù a Gerusalemme presenta una singolare particolarità: la metà del racconto, infatti, non parla di Gesù che entra nella città santa, ma dei preparativi che mette in atto per entrarvi.
Protagonista di questa prima scena, dunque, non è tanto Gesù, quanto gli apostoli.
Perché questa scelta dell’evangelista?
Mi sembra di poter dire che con questa scelta, Luca sta già parlando della Chiesa che vive dopo la Pasqua, di noi.
Gesù, entrando in Gerusalemme, in qualche modo “scompare”, e al suo posto compare la Chiesa, inviata ad annunciare a tutti la Pasqua del suo Signore.
Tutto questo lo deduciamo da una serie di elementi.
Innanzitutto Gesù invia: è il verbo della missione (Lc 19,29), che Luca ha già usato (Lc 9,2; 10,1) quando Gesù invia i suoi discepoli tra le genti, a portare a tutti la buona notizia che il Regno è vicino.
Ne invia due, proprio come aveva fatto quando aveva inviato i settantadue discepoli, al capitolo 10, inviandoli a due a due.
E inviandoli, Gesù li istruisce, proprio come li aveva istruiti prima di mandarli. I discepoli dovranno eseguire delle indicazioni, proprio come Gesù aveva dato delle indicazioni quando li aveva inviati; dovranno fidarsi che la Parola del loro maestro si avvererà.
I discepoli infatti vanno, e ogni cosa si svolge proprio come Lui aveva detto (Lc 19,32).
Durante questa missione, che è la vita della Chiesa, accade che qualcuno domanda ai discepoli i motivi del loro comportamento (Lc 19,31.33). E i discepoli non hanno altro motivo se non l’obbedienza alla Parola del loro Signore, che viene in mezzo al suo popolo come un re umile e bisognoso.
Chiedono perché il Signore ne ha bisogno.
Questa parola, bisogno, è la parola chiave anche dell’invio in missione dei discepoli: secondo la Parola del Signore, essi dovevano andare tra la gente come dei bisognosi, senza portare nulla con sé (9,3), fidandosi totalmente di chi li avrebbe accolti. E Gesù aveva preannunciato che certo, a qualcuno sarebbe stata riservato un rifiuto, ma che questo non avrebbe impedito il cammino dei discepoli, il cammino della Parola di salvezza.
Quello che accade, da questo ingresso a Gerusalemme in poi, non sarà altro che l’esito ultimo di questo andare umile e povero, di Gesù prima e della sua Chiesa poi, in mezzo alle genti.
C’è chi accoglie, entusiasta, come la folla esultante lungo le strade di Gerusalemme (Lc 19,37).
Ma ci sarà anche, come abbiamo ascoltato nel racconto della Passione, chi non lo accoglierà.
Per gli uni e per gli altri Gesù viene a portare la pace, come risuona oggi sulle labbra della folla dei discepoli: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19,38). La pace era esattamente ciò che i discepoli dovevano annunciare, entrando in qualsiasi casa: “In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!” (Lc 10,5).
Anche Gesù l’annuncia, entrando in Gerusalemme.
E non solo l’annuncia, ma ne paga il prezzo con la sua vita, e questa sarà la gloria di Dio che si compie per l’uomo.
La Chiesa dovrà solo annunciare questa pace, acquistata dal sangue di Cristo.
E se qualcuno vorrà farla tacere (Lc 19,39), quest’annuncio risuonerà comunque, e troverà altre strade per arrivare al cuore dell’uomo. Neanche la morte riuscirà infatti più a farlo tacere.
+ Pierbattista