Riflessione di mons. Pizzaballa per la Veglia Pentecoste 2019

Published: June 08 Sat, 2019

Riflessione di mons. Pizzaballa per la Veglia Pentecoste 2019 Available in the following languages:

Breve riflessione Veglia Pentecoste

St. Stephen, 8.6.2019

At 2, 42-47; 10, 34-48; Gal 5, 16-26; Mc 16, 15-20

Innanzitutto, saluto tutti i presenti e ringrazio i padri domenicani per averci ancora una volta ospitati in questa bella chiesa per questo momento di preghiera di tutta la Chiesa di Gerusalemme.

L’anno scorso fu il seminario a preparare questo momento. Quest’anno è toccato ai giovani di Palestina. Ringrazio perciò i ragazzi – shabibe – che hanno preparato questa veglia di preghiera.

Cinque anni fa, il Santo Padre visitò la Terra Santa e nel contesto della sua visita invitò gli allora presidenti di Palestina e Israele ad incontrarsi per pregare insieme per la pace. L’incontro avvenne in Vaticano esattamente cinque anni fa, come oggi. Fu un incredibile momento di speranza, ma anche un’importante indicazione di metodo. Allora tutti speravamo che qualcosa potesse cambiare. Abbiamo invece visto che subito dopo si scatenò un’incredibile violenza e ancora oggi la situazione politica resta quella di sempre. Ma non siamo qui per parlare di questo. Proprio quel momento, che forse può sembrare una parentesi di utopia, ci consegnò tuttavia un’importante indicazione: di fronte al male e alla violenza, di fronte alle tante forme di sopruso e oppressione a cui assistiamo, il credente deve come primo gesto alzare lo sguardo verso l’alto. Pregare e intercedere non significa rinunciare a parlare con parresia di fronte al male e nemmeno esenta dall’adoperarsi per costruire concretamente la pace e la solidarietà. Non bisogna infatti avere un approccio consumistico alla preghiera, che non produce risultati, e mai immediatamente. La preghiera rivolta al Padre introduce ad un atteggiamento di serena speranza e di sincero desiderio di incontro. La preghiera non produce; la preghiera genera. Non sostituisce l’opera dell’uomo, ma la illumina. Non esonera dal percorso, ma lo indica. E in questo senso, l’incontro di Roma è stato e rimane un segno potente, forte, vincolante. È l’immagine alla quale richiamarsi e che da speranza a chi non si rassegna alla triste realtà dei nostri giorni.

Desidero inoltre in questo momento rivolgere un pensiero particolare alla nostra Chiesa, la Chiesa di Gerusalemme. A Pentecoste, qui a Gerusalemme, nasce la Chiesa. Tutte le Chiese sparse nel mondo sono originate dal “Si” a Cristo detto proprio qui a Gerusalemme da qualche pescatore e alcuni loro amici. Erano pochi, spaventati, impreparati, con idee profondamente diverse su Cristo, sulla sua missione e di conseguenza sulla loro (bisogna accogliere anche i pagani?). Erano anche perseguitati e incompresi dai più.

Eppure, se siamo qui oggi, è per il “si” detto da questi personaggi che umanamente non avrebbero potuto fare nulla di eclatante.

Sembra – se posso permetterlo – la descrizione della nostra Chiesa di Gerusalemme oggi: siamo pochi e senza alcun potere umano, divisi, con idee profondamente diverse sulla missione della Chiesa, sulla politica e su molte altre cose; non siamo perseguitati, ma certo non possiamo nemmeno dire di essere amati. Non abbiamo un grande slancio missionario di annuncio. A volte sembriamo più simili ai discepoli ancora chiusi nel cenacolo per paura, più che a Pietro che con parresia annuncia a tutti che Cristo è il Signore.

Abbiamo davvero bisogno dello Spirito, di quella potenza che può venire solo dall’alto (cf Lc 24,49), che ci renda capaci di ridiventare cristiani, costruttori di un nuovo modo di vivere.

La prima lettura scelta dai nostri ragazzi ci indica il metodo: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere… stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze … ne faceva parte a tutti … prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo”.

La seconda lettura ci richiama ad aprirci alla novità dello Spirito. Esso non è solo per noi, non ne siamo i possessori. Come la prima comunità di Gerusalemme, anche noi – loro eredi – siamo invitati a cogliere la presenza dello Spirito di Dio in ogni uomo, in ogni persona, senza gelosie. Non dobbiamo temere le novità, oppure che lo Spirito dato ad altri tolga qualcosa a noi, ci privi di qualcosa, di una posizione, di un privilegio, perché tutto in Cristo è un guadagno (cf. Fil 3,8). Nella nostra città, dove siamo sempre così gelosi dei nostri spazi e confini, questo resta sempre una fondamentale indicazione di metodo.

I ragazzi che hanno preparato questa liturgia, ci ricordano, inoltre, attraverso la lettera ai Galati di San Paolo, la via per camminare secondo lo Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22).

Ci invitano anche a non avere paura, perché non siamo soli. Se anche prendessimo in mano serpenti o bevessimo veleno, non avremo danno (cf. Vangelo). Ci ricordano che abbiamo una vita che nessuno ci può togliere.

Tutto ciò è molto bello ma sembra assai lontano da quanto viviamo. E per questo siamo qui, per chiedere il dono della conversione e il dono dello Spirito, che cambi innanzitutto il nostro cuore e ci renda capaci di credere che anche attraverso noi, nonostante quello che siamo, sia possibile testimoniare la Pace di Cristo, che non è frutto solo di iniziativa umana. Solo se siamo conquistati dall’amore di Cristo, possiamo contribuire alla costruzione di nuovi modelli di convivenza.

Sono convinto che la nostra Chiesa abbia un speciale vocazione e una missione, all’interno dell’unica Chiesa di Cristo sparsa in tutto il mondo: testimoniare che è possibile vivere e costruire relazioni di pace anche nel mezzo di conflitti, tensioni e divisioni di ogni genere, anche quando sembra che parlare di speranza sia solo slogan.

“Pace” è il saluto di Cristo, il suo rivolgersi agli apostoli negli incontri dopo la risurrezione: ed è a questo rinnovato e costante dono della pace che dobbiamo rendere omaggio oggi, facendolo scendere nelle nostre coscienze, lasciandosi educare dalle sue esigenze, lasciando che converta i nostri cuori, perché in noi e attorno a noi, nelle nostre città e a Gerusalemme, ci sia pace.

+Pierbattista