GERUSALEMME – Dal suo ripristino nel 1847, con la pubblicazione della Lettera Apostolica Nulla Celebrior del Sommo Pontefice Pio IX, il Patriarcato Latino di Gerusalemme ha avuto dieci diversi Patriarchi. Da Giuseppe Valerga fino all’attuale Arcivescovo della diocesi, Pierbattista Pizzaballa, senza dimenticare Filippo Camassei né Michel Sabbah, tutti hanno portato il loro personale contributo a questa Chiesa Cattolica particolare che è il Patriarcato Latino. Oggi, lpg.org vi invita a riscoprire la storia dei primi Patriarchi raccontandovi dieci aneddoti poco conosciuti su ognuno di loro.
I/ Arcivescovo Giuseppe Valerga – Patriarca dal 1847 al 1872
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Gli aneddoti:
Nato nel 1813, Giuseppe Valerga era, secondo alcune fonti, il settimo di diciotto figli (altre fonti dicono che era il quinto di sedici figli). Ha trascorso i primi anni della sua vita senza dire una parola, causando grande preoccupazione ai suoi genitori…finché non provò, piuttosto miracolosamente, di essere perfettamente in grado di parlare.
Volendo diventare seminarista, il giovane Valerga entrò nel seminario di Albenga subito dopo gli studi. Tuttavia il costo del pensionato superava le sue possibilità, e così fu privato di alcuni vantaggi riservati ai ricchi (questi vantaggi furono poi rimossi da mons. Raffaele Biale, vescovo della diocesi di Albenga). I pasti del giovane seminarista erano così miseri che lui, insieme ad altri che condividevano il suo destino, un giorno decisero di lamentarsene presso il vescovo.
Ma non cambiò nulla. I contestatori furono puniti e Valerga, che era stato nominato portavoce, ricevette una punizione esemplare: fu espulso dal seminario per un anno. Lungi dallo scoraggiarsi, continuò a studiare il programma del seminario da solo e lavorò per sostenere economicamente la sua famiglia. Quando l’anno di esilio finì, decise che piuttosto di tornare al seminario, dove sapeva che non sarebbe stato il benvenuto a causa della lamentela sul cibo, continuò i suoi studi a Roma con alcuni dei suoi fratelli e sorelle, di cui una divenne suora. La decisione cambiò la vita sua e della sua famiglia per sempre: li portò in Siria, nelle Americhe, in Mesopotamia e, ovviamente, in Terra Santa…
Affascinato dall’oceano, nella sua infanzia rischiò di annegare due volte: una volta per aver nuotato troppo al largo nel mare, e una volta per essere finito in una tempesta mentre si trovava a bordo di un peschereccio. Più tardi, durante la sua prima missione in Siria, lui e il suo compagno di viaggio furono attaccati dai predoni che rubarono i loro bagagli e li abbandonarono in mezzo al deserto, feriti e spogliati. A Mosul, Valerga fu quasi ucciso durante i periodi di tensione tra i cristiani e i musulmani. Fu un musulmano a salvargli la vita e a portarlo al Consolato francese per metterlo al sicuro. Infine, quando divenne Vicario Generale della Caldea, si fece alcuni nemici e fu aggredito da due uomini a cavallo mentre ritornava dalla Messa. Solo una pia bugia sulla sua identità gli salvò la vita.
Paul-Emile Botta, nato nel 1802 a Torino, in Italia, è stato un archeologo, antropologo, entomologo, diplomatico e fisico francese. Figlio di un famoso storico (Carlo Botta), si imbarcò in giovane età come medico sulla nave del Capitano Auguste Duhaut-Cilly e viaggiò intorno al mondo. Poi divenne diplomatico ad Alessandria, in Egitto, e andò in Yemen per condurre ricerche biologiche. Successivamente fu trasferito a Mosul, dove incontrò Valerga. I due divennero amici e in seguito continuarono a mantenere stretti rapporti. Fu per un suggerimento di Valerga che Botta intraprese gli scavi da cui derivò il sito archeologico di Ninive, un’antica città assira (mesopotamica).
Dal XVII secolo ci furono grandi scontri tra i diversi riti cristiani a motivo della gestione dei Luoghi Santi, soprattutto del Santo Sepolcro. Il Patriarca Valerga decise di chiedere il sostegno delle grandi potenze cattoliche europee al fine di rafforzare il controllo del Latini sui Luoghi Santi, che erano allora sotto l’autorità del Sultano dell’Impero Ottomano. Ma si mise in mezzo la politica: tra Russi e Francesi, i Turchi, presi tra due fuochi, alla fine si arresero allo zar Nicola I, quando quest’ultimo prese le parti della Chiesa Ortodossa Greca. La commissione mista, composta da due membri latini e da due membri greci, che era stata fondata dal Sultano per tentare di risolvere la faccenda, fu sciolta. Più tardi, le tensioni in aumento tra Francia, Russia e Turchia misero la questione dei Luoghi Santi in secondo piano. Il conflitto non fu evitato. La guerra di Crimea scoppiò nel 1853 e finì tre anni più tardi. Nonostante ciò, la questione dei Luoghi Santi fu volontariamente omessa dai trattati di pace, sempre per ragioni politiche, e ciò deluse profondamente il Patriarca Valerga.
In quanto figlio di un muratore ed architetto, il Patriarca Valerga onorò suo padre rinnovando e fondando numerose chiese e parrocchie. Tra di esse ci sono le chiese di Ardiciai, Patarov, Khorsabat e Khosrowa, così come la Co-Cattedrale del Patriarcato Latino, la cui costruzione fu completata nel 1872. L’architetto fu lo stesso Patriarca Valerga, che la consacrò l’11 febbraio 1872, insieme al Custode di Terra Santa e a tre vescovi: il vescovo Athanasios, il vescovo Zaccaria di Catignano e il vescovo Bracco, il suo futuro successore…
Non vi è alcun dubbio sul fatto che il Patriarca Valerga fosse un uomo perseverante. Poiché gli ostacoli che dovette superare nella fondazione delle missioni furono tutt’altro che banali. La prima missione, a Beit Jala, portò a violenti scontri, soprattutto quando il prete cattolico scelto da Valerga, padre Jean Morétain, arrivò in città. Il Patriarca stesso dovette andare e tentare di risolvere la questione. Alla fine, dopo numerosi tentativi di espulsione, dopo lotte tra monaci e missionari (durante le quali il Patriarca Valerga quasi perse la vita) e una sorta di assedio durante il quale il Patriarca rifiutò di lasciare Beit Jala per Natale, la situazione fu risolta grazie all’intervento di Paul-Emile Botta, che si rivolse in favore dei Latini al governatore e al Consolato francese. Erano tempi ben lontani dalla sensibilità ecumenica di oggi. Più tardi, durante la fondazione delle missioni di Gifneh, Ramallah, Lydda, Bir Zeit, Taybeh e Beit Sahour, accaddero incidenti durante i viaggi apostolici di alcuni dei missionari. Furono commesse aggressioni contro convertiti religiosi, furono fatte minacce agli abati, la volta di una chiesa crollò durante la costruzione mentre un altro vedeva le sue fondamenta costantemente minacciate a causa della posizione, che non era ideale per la costruzione. Tutti questi avvenimenti non possono che evidenziare la perseveranza del Patriarcato Latino e del suo Patriarca.
Il Patriarca Valerga parlava arabo, italiano, caldeo, ebraico, greco, latino, turco, curdo e anche francese. Da studente imparò l’arabo letterario, che padroneggiò in fretta. Quando si imbarcò per la Siria nel 1841, perciò, si credeva capace di comprendere gli abitanti del paese che stava per scoprire. Che sorpresa per lui quando, durante una fermata a Beirut, sentì l’arabo parlato per la prima volta – una lingua che è molto diversa dalla lingua scritta che aveva imparato!
Fedele alle sue origini italiane, Valerga scriveva regolarmente sonetti e altre opere poetiche, e arrivò persino a tradurre gli inni del breviario in versi italiani. Non era insolito per lui recitare una poesia che aveva composto di fronte ad un’assemblea durante una festa o una celebrazione. Grande amante della musica, suonava l’armonium, soprattutto per il seminario di Gerusalemme.
Colpito da laringite nel 1862, poi da colera nel 1865, il Patriarca Valerga morì di “febbre colerica perniciosa” (per citare i dottori) il 2 dicembre 1872, dopo aver trascorso più di una settimana a letto. Fu sepolto insieme ad una scatola contenente immagini dei sacerdoti del Patriarcato, un simbolo del suo attaccamento al presbiterio. Si tennero numerosi funerali in tutto il mondo, tra cui a Loano, Bruxelles, Parigi, Civitavecchia e ovviamente al Santo Sepolcro.
Continua…
Fonti: