Omelia Pentecoste Dormizione 2025
Jerusalem, Dormition Abbey, 8 June 2025
Gv 20, 19-24
Carissimo padre Nikodemus,
Cari Fratelli della Dormizione, cari Fratelli e sorelle,
Il Signore vi di pace!
Il brano di Vangelo ascoltato oggi (Gv 20,19-23) ci riporta alla sera di Pasqua: secondo l’evangelista Giovanni, quella sera stessa Gesù appare ai suoi, che per paura si sono rinchiusi in casa, e lì subito, dona loro il suo Spirito.
Giovanni unisce strettamente il dono dello Spirito alla Passione e alla Pasqua, come un unico grande movimento, un unico mistero di salvezza: vuole sottolineare e farci comprendere che lo Spirito sgorga dalla croce, dal costato aperto del Signore che dà la vita. Non ci può essere lo Spirito senza questo dono di sé che Gesù porta a compimento per noi sulla croce. E, d’altra parte, la Pasqua non si compie se non lì dove lo Spirito Santo è comunicato agli uomini.
Il fine della Pasqua è che la vita del Risorto abiti dentro di noi, che noi siamo resi partecipi del Suo stesso modo di vivere. Per questo Gesù, il giorno stesso della Sua risurrezione, raggiunge subito i suoi e condivide con loro la vita che il Padre gli ha dato: questa vita, che è una vita vera perché è rinata dagli abissi, ora è per tutti coloro che l’accoglieranno.
Per dire che Gesù dona lo Spirito, l’evangelista Giovanni usa un termine importante e rarissimo: nel Nuovo Testamento lo troviamo solo qui. Dice allora che Gesù soffiò, alitò su di loro (Gv 20,22), ma si potrebbe tradurre anche “in” loro: lo Spirito è un dono che non rimane esterno alla persona, ma che entra dentro, che diventa il respiro stesso dell’uomo.
Questo verbo, unico nel Nuovo Testamento, è presente proprio all’inizio della Bibbia: Dio, dopo aver plasmato l’uomo con polvere del suolo, “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7): l’uomo, quindi, è formato da due elementi, entrambi segnati da una grande precarietà: la polvere del suolo, ovvero quella parte più delicata e meno consistente della terra, che per questo simboleggia la fragilità della sua costituzione fisica, e l’alito di vita, che indica tutto ciò che fa di un corpo inanimato una persona viva: tutto ciò che permette di respirare, che dà la possibilità di vivere.
Ebbene, come Dio soffia nelle narici di Adamo la vita naturale, perché possa vivere, così Gesù soffia nei discepoli il respiro della vita nuova, perché possano vivere da risorti: lo Spirito non è qualcosa in più, un accessorio, ma è esattamente ciò che ci fa vivere. L’uomo è una creatura chiamata a tenere insieme questi due elementi, che di per sé sarebbero lontanissimi tra di loro, come il cielo e la terra.
La Pentecoste svela in modo definitivo il mistero dell’uomo: nella sera di Pasqua, attraverso il soffio di Gesù, Dio ci rende nuova creatura, chiamata a tenere insieme la vita naturale e quella divina, la carne e lo Spirito, la terra e il cielo. Solo allora l’uomo è compiuto.
Non solo. Ma un altro elemento viene ad illuminare questo compimento di creazione che la Pentecoste realizza: nel racconto di Genesi l’opera di Dio riguarda l’uomo, il primo uomo, il singolo. Nella Pentecoste vi è qualcosa di diverso: la sera di Pasqua Gesù dona lo Spirito ai discepoli riuniti insieme, e li ricrea come comunità di fratelli. Nasce la Chiesa.
L’opera dello Spirito è un evento di comunione, crea una fraternità, compone le differenze, rende possibile l’unità. In altre parole è all’origine della Chiesa. La vita nuova dello Spirito è una vita non più vissuta nella solitaria ricerca del proprio compimento, ma nell’incontro con il fratello con il quale la vita è condivisa: non può essere vissuta se non è a propria volta comunicata, condivisa, donata, perché questa stessa vita, in se stessa, non è altro che dono. Se la tratteniamo e se la si possediamo, si spegne lo Spirito e si ritorna nella morte
Per questo, strettamente legato al dono dello Spirito c’è il dono di perdonare i peccati (“A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” - Gv 20, 23) ovvero la capacità di non lasciare che il male possa sopraffare l’uomo, distruggendo le sue relazioni: gli apostoli, pieni di Spirito Santo, sono inviati a fare la stessa cosa che hanno visto in Gesù, cioè a portare la vita dove c’è la morte. È questo lo Spirito che hanno ricevuto.
Il Vangelo di oggi e la solennità della Pentecoste sono un richiamo alla nostra Chiesa.
Unità, diversità, comunione, relazione, condivisione, dono di sé, amore, pace… sono le parole che risuonano a Pentecoste, quando parliamo di dono dello Spirito Santo e nascita della Chiesa. Sembrano molto lontane da quanto stiamo vivendo in questo tempo. Tutto sembra parlare esattamente del contrario. Le parole che sentiamo sono all’insegna di odio, di sfiducia, di disprezzo e divisione, ma anche di incomprensione, di senso di abbandono e solitudine. Molti sono anche arrabbiati con Dio, come se fosse Lui il responsabile di tutto ciò. La tragedia che Gaza sta vivendo è diventata un po’ un’immagine, un simbolo di questo dramma che sta colpendo tutta la Terra Santa.
Oggi allora siamo chiamati a scegliere. Se lasciarci guidare dallo Spirito Santo che abbiamo ricevuto e che è in noi, se cioè vogliamo diventare coloro che danno espressione alla vita di Dio in noi, a quell’alito che Gesù ha messo dentro di noi, oppure se lasciamo che sia la carne a determinare le nostre scelte, se cioè vogliamo vivere soltanto come coloro che sono fatti di polvere dal suolo, come il primo Adamo.
Non si tratta di diventare irenici, di vedere un mondo ideale ed estraniarsi dalla realtà dolorosa che stiamo vivendo. Si tratta di essere capaci, nonostante tutto, di dono di vita, di impegno per relazioni che aprano orizzonti, di impegnarsi per costruire dove oggi tutto sembra andare distrutto, in altre parole, di impegnarsi per quel primo dono che Gesù ha dato ai suoi discepoli nel cenacolo, la pace (“stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!” Gv 20,19). Non dobbiamo solo attenderla che altri la facciano. I discepoli l’hanno ricevuta con lo Spirito, e devono perciò comunicare ciò che già possiedono, costruirla, realizzarla, sempre e ovunque, nonostante tutto. Collaborando con chiunque, per condividere quel dono prezioso, la pace, che è già dentro di loro, nel loro cuore indiviso. Risolveremo i gravi problemi che affliggono la Terra Santa? Probabilmente no. Ma potremo e dovremo comunque essere una voce diversa, uno stile diverso, condividere un modo diverso di vivere in Terra Santa. È questa forse la prima e più importante missione della Chiesa di Gerusalemme oggi.
La Pentecoste, insomma, ci richiama a diventare noi coloro che costruiscono l’unità, la condivisione, l’amore, la pace, che sono si un dono che viene dall’alto, ma che deve essere costruito con le nostre mani, il nostro impegno e il nostro sincero desiderio. Anche oggi, anche qui in terra Santa. Direi soprattutto oggi e soprattutto qui. Lo Spirito è la forza che ci sostiene, ma non si può sostituire alla nostra libera scelta di vivere come figli di Dio.
Il Signore perdoni le nostre infedeltà, ci renda a nostra volta capaci di perdono reciproco e ci sostenga in questo nostro comune desiderio di diventare nel mondo operatori dell’azione dello Spirito e costruttori di unità e pace.