Messa per la domenica del migrante
Gerusalemme, Notre Dame, 27 settembre 2025
Am 6,1.4-7; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Carissimi fratelli e sorelle,
Carissimo padre Matthew,
il Signore vi dia pace!
Sono contento di potervi incontrare in questa importante circostanza diocesana. La celebrazione della giornata del migrante, infatti, è per noi l’occasione di riflettere, pregare e ringraziare. Riflettere sull’attuale situazione di decine di migliaia di persone che vivono tra noi. Porsi nel vostro ascolto, dando voce alle vostre attese, paure, difficoltà, ma anche alle vostre gioie e alla vostra determinazione. Pregare per voi e con voi e così continuare a costruire insieme la nostra comunità ecclesiale di Terra Santa. Ringraziare il Signore per la vostra presenza, per la vostra testimonianza di fede autentica, solida e determinata, e ringraziare quanti in mezzo a voi, religiosi, religiose e volontari spendono la loro vita per sostenere, aiutare e fare crescere questa porzione di Chiesa di Terra Santa.
Vorrei fermarmi su due espressioni significative del vangelo di oggi: “avere un nome” e “vedere”. Mi ha sempre colpito in questo brano che è solo il povero ad avere un nome, mentre l’uomo ricco, presumibilmente con una certa autorità nella sua società, è senza nome. Avere un nome significa avere una identità, avere una storia, un volto, una famiglia, essere parte di una comunità. Significa insomma esserci per qualcuno. Nella Bibbia, fin dal primo libro della Genesi, la creazione si forma quando Dio le da un nome. I grandi personaggi della Bibbia ricevono un nuovo nome quando Dio affida loro una missione nuova, che da loro una identità nuova, da Abramo fino a Simone Pietro.
L’altra espressione è vedere. Mi colpisce anche nel vangelo di oggi che Lazzaro stia fuori dalla porta del ricco, ma che questi non sia capace di vederlo. Non esisteva per lui, eppure stava alla sua porta. È proprio vero che noi vediamo non con gli occhi, ma con il cuore. I nostri occhi vedono secondo ciò cha abita il nostro cuore. Il cuore del ricco era ripiegato sui suoi beni e sulla sua vita, concentrato su di sé e basta, da diventare incapace di vedere ciò che gli stava attorno. Al ricco non veniva chiesto di rinunciare a tutto ciò che aveva, ma solo di avere pietà, di uscire per poco dalla cerchia del suo piccolo mondo. Gli veniva chiesto solo uno sguardo. Ma il suo cuore così pieno di sé, non aveva spazio per altro.
È una realtà che non accade solo nel Vangelo purtroppo. Accade anche tra noi spesso, di non essere capaci di vedere ciò che sta accanto alla nostra porta, di non vedere non solo il bisogno ma semplicemente la vita di chi ci sta vicino.
Lo vediamo nel mondo in generale, dove milioni di persone sono costrette a lasciare la propria casa, la famiglia, il proprio paese per trovare migliori opportunità di vita per sé e per la propria famiglia, oppure più semplicemente per poter sostenere la propria famiglia che rimane a casa.
Succede a tante famiglie della Terra Santa che, a causa del conflitto e delle sue conseguenze, sono costrette a partire per offrire migliori opportunità ai propri figli. Credo che sia la verità anche per ciascuno di voi, costretto a partire per poter sostenere le vostre rispettive famiglie, spesso rimaste nel vostro Paese di origine.
È ormai un fenomeno globale, presente dovunque, che richiede risposte globali, e sul quale la comunità internazionale non può non interrogarsi. La storia ci insegna che erigere barriere non è mai la soluzione, perché le barriere rappresentano la paura, e cancellano ogni promessa di futuro, evidenziano la nostra mancanza di visione. E di visione, invece, abbiamo estremo bisogno, qui e nel resto del mondo.
Quella della migrazione è una realtà di cui non si parla qui in Terra Santa, se non in qualche momento particolarmente drammatico; è nascosta agli occhi della maggioranza della popolazione. Ma per quanto la si voglia tacere, essa balza, comunque, agli occhi di chiunque sia attento a quanto accade attorno a sé. Si tratta infatti di migliaia di persone, che non possono rimanere invisibili.
Per molti, per troppi, questa realtà, ciascuno di voi, non ha un nome, non ha un volto. Non siete visti, come nel vangelo di oggi. Nella vita di ciascuno di voi ci sono spesso drammi familiari e personali, che non fanno notizia, ma che lasciano un segno profondo nella vostra vita.
Penso alla questione delle espulsioni che continua a coinvolgere molte famiglie. Bambini e giovani, nati e cresciuti qui e che, anni dopo, sono costretti a partire per una patria che non hanno mai conosciuto e, in un certo senso, sono stati costretti a diventare migranti in quello che dovrebbe essere il loro Paese.
Penso ai tanti che vivono tra noi senza alcuna garanzia giuridica, con il rischio di essere costretti ad andarsene in qualsiasi momento, senza mezzi e senza la possibilità di procurarseli, costretti, come il Lazzaro del Vangelo, a vivere di briciole.
Penso a coloro che vivono in condizioni di lavoro umilianti, ma soprattutto ai tanti bambini che non hanno la possibilità di vivere come qualsiasi altra famiglia, con un padre e una madre vicini, una casa e un contesto di vita sereno; costretti a partire per un Paese straniero e non necessariamente amico, a essere divisi, per mancanza di mezzi, sempre in movimento e con la paura di dover partire improvvisamente verso un futuro imprevedibile.
Penso a quelli che in questi due anni hanno partecipato nella maniera più drammatica possibile all’orrore del conflitto, rimanendo uccisi in questa tragica guerra, il 7 ottobre nei kibbutz, nei mesi scorsi nel nord di Israele, sotto i lanci di razzi dal Libano, e ultimamente a Tel Aviv, durante la guerra con l’Iran.
Non avete nome, spesso, non siete visti, dicevo, eppure anche voi siete parte della vita di questa Terra Santa, partecipate al suo sviluppo sociale ed economico, e condividete la stessa realtà di violenza e a volte fino alla morte.
La nostra Chiesa ovviamente non è in grado di influire su questi enormi processi, ma può dare ascolto alla voce di queste persone, dare un volto e un nome a ciascuno di voi. È questa la nostra missione: ridare dignità e identità a persone che forse molti preferirebbero non vedere né incontrare, ma che esistono, sono reali e attendono la nostra risposta. Perché è il Signore stesso, attraverso di voi, a bussare alla nostra porta, a volgere verso di noi il Suo sguardo, a interpellare la nostra coscienza. Non possiamo ignorare. Non possiamo tacere.
In questa occasione vorrei ringraziare i tanti che nella società israeliana lavorano per aiutare e sostenere in queste situazioni i diritti dei tanti Lazzaro che vivono qui; e per ringraziare anche coloro che li accolgono rispettosamente nelle loro case per lavorare, accogliendoli in modo adeguato e con dignità.
E infine, ringrazio il Vicariato per i migranti, padre Matthew Coutino e tutto lo staff, religiosi e laici, che ogni giorno si impegnano per essere la voce e il braccio della Chiesa in questo campo pastorale e per ricordare a tutta la Chiesa di Terra Santa il suo dovere di farsi, qui e ora, voce libera e serena del Vangelo di Lazzaro: dare un nome e un volto al Cristo che bussa alla nostra porta.
+Pierbattista