Logo
Faire un don

Homélie pour la solennité de Notre Dame Reine de Palestine 2022

Homélie pour la solennité de Notre Dame Reine de Palestine 2022

Carissime Eccellenze, 

Carissimi Fratelli e sorelle, 

Il Signore vi dia pace! 

Saluto tutti voi che dalle diverse parti della nostra diocesi – Palestina, Israele e anche Giordania – siete giunti qui ai piedi del santuario diocesano della nostra Madre per pregare insieme. Saluto in particolare tutte le nostre parrocchie, accompagnate dai nostri parroci, la Chiesa siriaca, e tutte le varie comunità religiose, i migranti di tanti paesi lontani che lavorano tra noi, e i Cavalieri del Santo Sepolcro e i tanti pellegrini. He si sono uniti a noi in questa giornata speciale per tutta la diocesi. 

L’anno scorso in questa circostanza eravamo tanti, provenienti da tutta la Terra Santa, e fu una bella esperienza di Chiesa. Eravamo insieme a tutte le Chiese cattoliche di Terra Santa, Latini, Melkiti, Siriaci, Maroniti, Armeni… tutta la Chiesa era qui per l’apertura del cammino sinodale voluto da Papa Francesco e che durerà ancora qualche tempo. È stata davvero una bella esperienza di Chiesa che ancora ricordiamo. 

Il Sinodo non è ancora finito. Siamo anzi nel pieno del cammino sinodale della Chiesa universale, che attende da noi proposte, risposte e indicazioni per il cammino della Chiesa dei prossimi anni. Questa è dunque l’occasione per portare qui, ai piedi della Madonna di Palestina, il cammino di quest’ultimo anno e affidare a Lei, la vita della nostra comunità ecclesiale, delle nostre famiglie e di tutta la nostra diocesi, di cui la Madonna di Palestina è patrona. 

Abbiamo avuto molte riunioni, diverse occasioni di preghiera, di incontro, di scambio di esperienze, di pellegrinaggi. Il cuore di tutto questo percorso e lo scopo principale che ci siamo prefissati, era quello di ascoltare, ascoltarci tra noi, ma soprattutto ascoltare voi. Di solito siamo noi sacerdoti a parlare e siamo noi a chiedervi di ascoltare: le nostre predicazioni, omelie, conferenze, indicazioni… quest’anno abbiamo cercato di fare il contrario. In alcune parti ha funzionato di più, in altre di meno, ma abbiamo cercato sempre di essere chiesa che sa ascoltare. 

Ascolto, comunione e missione. Sono le tre parole del Sinodo. Per vivere bene la comunione tra noi, una comunione vera, è importante ascoltarsi. In una famiglia dove non ci si ascolta, con il tempo si perde la comunione, perché non si è più capaci di condividere la vita.  E così succede anche belle comunità religiose e nelle nostre comunità parrocchiali. 

Chiediamo alla Madonna, perciò, di crescere in questo importante atteggiamento, che vale per tutti e sempre: ascoltare. Ascoltare innanzitutto la Parola di Dio, trovare in essa il ristoro per il nostro spirito. L’anno scorso nella giornata della Parola di Dio, moltissime comunità parrocchiali e molte famiglie si sono fermate una giornata per leggere e pregare con la Bibbia. È stata un’esperienza bellissima. Spero e prego che questa diventi un’abitudine quotidiana. Ascoltare e vivere vicini alla Parola di Dio, ci fa anche diventare capaci di attenzione verso l’altro, verso i bisogni della comunità, rafforza e nutre la nostra fede di cristiani. Le nostre comunità saranno più solide se sapranno ascoltare. Come abbiamo già detto, ascoltare non significa soltanto udire, ma anche accogliere in noi la vita dell’altro. Accogliere in noi, innanzitutto, la vita di Dio, e poi la vita di tutto il mondo che ci circonda. 

Prego allora che in questo nostro cammino impariamo ad essere sempre più comunità sinodali, che non significa solo fare le cose insieme, decidere insieme, o essere più democratiche, ma essere comunità dove tutti ci sentiamo partecipi della vita dell’altro. 

Oggi vogliamo portare ai piedi della Nostra Madre e Patrona anche la vita delle nostre varie comunità civili della nostra diocesi, a Cipro, in Giordania, in Israele e in particolare in Palestina. Visitando e incontrando le varie comunità parrocchiali e religiose nei vari territori della diocesi, ho incontrato tantissime belle esperienze di vita e di impegno, tanto desiderio di partecipazione, ma non posso negare anche i tanti problemi che affliggono le nostre rispettive società: l’impoverimento di tante famiglie, la fragilità economica, la violenza dilagante nelle città e nei villaggi, le tensioni sociali e a volte anche religiose, la disoccupazione giovanile, una politica sempre più fragile, lontana dalla vita reale del Paese e incapace di dare risposte chiare ed immediate ai tanti bisogni della nostra società. 

Penso in particolare alle tensioni politiche e militari in Palestina, che in questo ultimo periodo sembrano riportarci lentamente ma sempre più chiaramente ai momenti delle tensioni politiche e militari più difficili del passato, che purtroppo abbiamo già vissuto diverse volte. Vi è una sfiducia profonda soprattutto tra i giovani, impazienti di trovare risposte alle loro attese di vita e dignità. Quest’anno sono stati troppi i funerali di giovani morti in questo interminabile conflitto. 

Siamo qui allora anche per chiedere e gridare il nostro desiderio di giustizia e di pace, per chiedere ai governanti di impegnarsi davvero ad occuparsi del bene comune per tutti. 

Ma siamo qui innanzitutto per dire a affermare ancora una volta che noi crediamo fermamente che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), e che con l’intercessione della Madonna di Palestina, sia ancora possibile sognare un futuro dignitoso per le nostre famiglie e soprattutto i nostri giovani. 

Il Vangelo ci presenta l’incontro di due donne, santa Elisabetta e la Vergine Maria e la cosa che più balza all’occhio è una sproporzione. Una sproporzione tra ciò che accade e l’eco di ciò che accade. Perché in realtà non accade quasi niente, semplicemente ci sono due donne, che si incontrano. Niente di più normale, semplice, quotidiano. 

E poi c’è il significato di questo evento, come questo evento è letto dalle due donne, dall’evangelista Luca, e poi dalla Chiesa, e quindi da noi, oggi, qui. Noi vediamo innanzitutto due persone, Maria ed Elisabetta, ma poi veniamo a scoprire che dentro questo incontro c’è tanta altra gente; che anzi, i protagonisti di questo incontro non sono Maria ed Elisabetta, ma c’è Giovanni il Battista, c’è Gesù, c’è lo Spirito Santo, e poi con il Magnificat c’è tutta la storia della salvezza: i poveri, i ricchi, gli affamati, c’è Abramo e tutti i padri a cui Dio ha fatto quelle promesse che oggi si compiono. E il Magnificat si conclude con un “per sempre” (Lc 1,55), che apre al futuro, e che quindi arriva fino a noi. Quindi ci siamo già anche noi… 

Il vangelo ci dice che Dio vuole riempire la nostra vita di Sé, renderci, come Maria e come Elisabetta, portatori del mistero della salvezza, in questa nostra vita, così com’è, con le sue piccole cose, con il suo quotidiano più o meno riuscito; in questa nostra vita con le sue contraddizioni, con le difficoltà politiche ed economiche a cui ho accennato, con le sue fatiche, con le sue sterilità. Noi crediamo che questa nostra vita è abitata dalla salvezza, perché Dio ha semplicemente scelto di venire a noi, in noi. 

Santa Elisabetta e la Vergine Maria sono due donne che si rendono conto di questo e lo riconoscono, l’una nell’altra. Riconoscono che la propria storia è stata oggetto di questa attenzione da parte di Dio, e ha dato la vita lì dove era impossibile che la vita nascesse. 

Il Vangelo ci ricorda, dunque, che ci si accorge del passaggio di Dio quando lo osserviamo nell’altro, come è accaduto a santa Elisabetta e alla Vergine Maria. Accorgersi della presenza di Dio nella vita dell’uomo non può accadere al di fuori di una relazione umana, perché abbiamo bisogno dell’altro per riconoscere il passaggio di Dio in noi. 

Questa è la carità, questo è il servizio che siamo chiamati a renderci vicendevolmente. Il cammino sinodale di cui abbiamo parlato è anche questo. Non solo ascoltare e ascoltarci, ma saper riconoscere il passaggio di Dio tra noi e riconoscerlo nell’altro e questa consapevolezza porta e dona vita nuova, fiducia, una vita di lode, di “magnificat”. Dove riconosciamo il passaggio del Signore, la storia si apre dai propri piccoli ed angusti spazi, agli spazi della storia della salvezza, che sono spazi immensi; e si diventa solidali con tutto un popolo di gente che cammina sulla stessa strada, crea comunione e infonde fiducia. La presenza di Dio apre alla speranza. 

Ci vuole coraggio oggi per parlare di speranza, di futuro, di vita. Ma se davvero noi crediamo che Dio è presente e che Dio può cambiare la vita del mondo, allora non è più utopia. 

Chiediamo alla Madonna di Palestina di aprire il nostro cuore alla speranza, che ci apra gli occhi e il cuore non solo ai nostri problemi, ma anche al passaggio di Dio tra noi, tra i nostri poveri, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità religiose e parrocchiali, nella nostra società civile. 

Affidiamo a lei ancora una volta tutta la nostra diocesi patriarcale di Gerusalemme, e ci dia la forza di essere in questa nostra Terra Santa portatori di gioia e speranza.